C'è tutto un intreccio di ruoli, di storie e di visioni dentro
Lost John Dean. Si potrebbe semplificare identificando in
Kieran Kane il più traditional,
Kevin Welch il più troubadour con Fats Kaplin a fare da cardine strumentale. In realtà, i due principali songwriter si scambiano volentieri i ruoli e intrecciano ancora più di gusto le voci, ruotando attorno alle tessiture di Fats Kaplin e la combinazione di tutti questi elementi contribuisce a creare tutto un sound, un mood e un'atmosfera unici che è logicamente ancorata alla sua natura folkie, ma si allarga alla canzone d'autore, al blues e persino a sfumature mediterranee, piuttosto insolite ma segno di una ricerca musicale a tutto campo. Sarà anche per questo 'che, pur essendo soltanto in tre, e tra l'altro sempre molto misurati con i loro strumenti (in gran parte acustici), riescono a dare una varietà di soluzioni e di idee, di suoni e di colori a tutto
Lost John Dean, come a suo tempo, un paio d'anni fa, con
You Can't Save Everybody che qui trova un degnissimo bis.
Il repertorio comprende canzoni di Kieran Kane e Kevin Welch più o meno in parti uguali, un paio di brani di un altro bravissimo e misconosciuto songwriter (David Olney), un traditional (
Lost John Dean) e una bella versione di
Mellow Down Easy di Willie Dixon. L'inizio è perentorio, sia per la durezza delle parole di
Monkey Jump, sia per il gran lavoro di Fats Kaplin al violino e alla fisarmonica che carica di tensione la canzone, poi cominciano i giochi di ruolo e spuntano le ballate di Kevin Welch (
Satan's Paradise e Heaven Now, ricamata da Fats Kaplin alla chitarra elettrica) e le interpretazioni di Kieran Kane (che si destreggia al banjo in
Lost John Dean), tra cui la bellissima
Them Wheels Don't Roll. Quando le tre personalità riescono a convergere il livello però si alza notevolmente e si sente soprattutto in
Postcard From Mexico: tra le canzoni migliori di
Lost John Dean, gode di un bell'intreccio delle voci di Kieran Kane e Kevin Welch e di un riff della chitarra (ancora Fats Kaplin) che potrebbe stare benissimo in qualsiasi disco di Dave Alvin.
Tra una ballata e l'altra, con un violino e una fisarmonica, spunta anche un oud (suonato da Fats Kaplin che, sembra di capire, può suonare di tutto) che infila in
Mr Bones, quelle suggestioni mediterranee (l'introduzione sembra uscire da Creuza De Ma) che magari potranno sembrare bizzarre per un american record al cento per cento, ma che danno un po' l'idea dell'apertura mentale, dello stile e della capacità di questi musicisti. I quali un attimo dopo non mancano di ricordarsi com'è che è cominciato tutto quanto e sfoderano, un po' a sorpresa, una versione molto rootsy di
Mellow Down Easy di Willie Dixon. Nessun limite, un mucchio di idee, tantissima musica. Un signor disco.