RADNEY FOSTER (This World We Live In)
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  Recensione del  01/06/2006
    

Radney Foster, uno dei padrini del movimento musicale del Texas, è una nostra buona conoscenza fin dai tempi della sua apprezzatissima partnership professionale con Bill Lloyd, che ci ha regalato tre gradevolissimi album di valido country rock verso la fine degli anni ottanta, riuscita dimostrazione della possibilità di essere competitivi senza vendere la propria anima. Abbracciata la carriera solista agli inizi del decennio successivo abbiamo potuto riapprezzare il suo talentuoso songwriting, che ha saputo esprimere attraverso tre interessanti prove discografiche pubblicate dalla Arista, due delle quali in particolare, la prima, Del Rio, Texas 1959 del '92 e la terza, See What You Want To See del '99, hanno ottenuto notevole successo.
Non solo, ma grazie alle tematiche trattate, assai care agli ascoltatori del genere, persino diversi artisti commerciali di Nashville, tra cui Keith Urban, Kenny Chesney, Brooks and Dunn, Sara Evans recentissimamente, lo hanno cantato ampliandone la considerazione. Questo nuovo disco, This World We Live In, è la terza fatica realizzata per la Dualtone, la piccola etichetta indie della capitale del Tennessee, essendo il seguito del notevole live Are You Ready For The Big Show? del 2001 e dell'album di studio di quattro anni fa Another Way to Go, nel quale Radney ha accostato il classico stile r&b al country.
Ebbene, pur senza aver a che fare con qualcosa di speciale, possiamo restare più che soddisfatti di questo nuovo prodotto che ci mette di fronte ad un autore e performer che sa trattare con grande spirito letterario la vita e le sue complessità. Radney nella circostanza rilascia una decina di canzoni apparentemente semplici, ma che danno senso alle relazioni personali descritte e scopo ai valori espressi, fatto significativo in uno scenario mondiale di confusione e di incertezza come quello attuale. Riunitosi con il producer Darrell Brown e chiamati a sé alcuni musicisti considerati ormai amici, tra cui il tastierista dei Wallflowers Rami Jaffe e il bassita Bob Glaub, il nostro conferma di essere in gran forma e di non pensare ancora al riposo. Drunk On Love è un rock blues alla Stones, con slide guitar in evidenza e la voce di Sarah Buxton nel finale, che celebra l'euforia di un nuovo innamoramento, Sweet And Wild, una scorrevole ballad con due chitarre elettriche che sostengono il break strumentale, allineata sullo stesso tema.
The Kindness of Strangers, un lento motivo con la voce femminile di Emily West, il violino ed un finale in sordina con la batteria sugli scudi, che racconta di un uomo che al capolinea di un intenso rapporto sentimentale si butta in lacrime nella braccia di una prostituta spingendola a rifiutare il denaro e a pregare per lui. Big Idea, una honky tonk song, ovverosia un riuscito incontro tra roots rock e Buck Owens, che riporta l'attenzione sul desiderio di un nuovo amore.
Half Of My Mistakes, una gradevole ballad dalla deliziosa introduzione, che vuole essere una riflessione sugli errori compiuti e sulla possibilità di ripeterli nonostante il loro riconoscimento, bello il verso che recita "nessuno può dirti un accidenti se non lo ascolti". New Zip Code, un pezzo di country soul dalla piacevole melodia e il dolce finale strumentale di chitarre ed organo, che esplicita la voglia di cambiare, di andare altrove e ricominciare da capo. I Won't Lie To You, una lenta 'poppish' song che offre attraverso un suo verso il titolo dell'album.
Prove Me Right, pezzo deciso e ritmato dal ritornello particolarmente piacente, scelto come primo singolo del disco, che diventa una affermazione di speranza, pura e semplice. Fools That Dream, un delizioso testo con la bella voce femminile di Kim Richey nel refrain, teso a ribadire che solo gli sciocchi sognatori sono capaci di far durare un amore. Never Gonna Fly, un classico motivo alla Jerry Jeff Walker composto insieme a Jack Ingram, che invita a non avere paura di cadere se si vuoi volare.