Già membro dei Blasters,
Dave Alvin ha percorso, tra la fine degli ottanta, tutti i novanta e questo spicciolo di nuovo millennio, una carriera solista di tutto rispetto. Chitarrista eccellente, ottimo cantante, autore con la A maiuscola, ha attraversato tutti i generi della nostra musica, eccellendo sempre. Ma il nostro ha una qualità che non hanno molti, quella dell'interprete. Infatti, iniziando da
Public Domain (sottotitolato
Songs from The Wild Land, canzoni dei cowboys e dei pionieri, degli avi e di un passato ormai sepolto), il suo primo album di covers (vincitore di un Grammy nel 2000), Alvin ha percorso una via poco usuale: prima ha riscoperto le sue radici, le radici della musica che ama, quella della sua patria. Ed ora, dopo una ricerca capillare, è andato a fondo nella musica d'autore, gli autori della sua terra, la Califomia.
E
West of the West è la perfetta combinazione di amore e ricerca, esecuzione e canzoni: Dave è andato a cercare tra i suoi musicisti preferiti, musicisti californiani, ed ha messo a punto un disco bello, eclettico, diverso. Diverso da
Ashgrove, diverso da
Public Domain:
West of the West può avere dei punti in comune con
King of California ed eventualmente
Black Jack David. Ma poi si differenzia anche rispetto a questi. Infatti la rilettura di brani di autori noti (Jerry Garcia, Brian Wilson, John Fogerty, Tom Waits, Jackson Browne, Merle Haggard, David Hidalgo, John Stewart) e meno noti (Kate Wolf, Richard Berry, Blackie Farrell, Jim Ringer) è personale, intensa e molto caratterizzata. Dave ha scelto autori noti ed oscuri, ma più che gli autori, ha fatto una scelta molto approfondita sulle canzoni.
Non ha scelto brani famosi (con la sola eccezione di
Surfer Girl), ma ha scelto canzoni di grande spessore (
Blind Love, Sonora's Death Row, Kern River, Tramps and Hawkers, Loser, Here in California), per rendere ancora più personale il suo lavoro. E per questa nuova avventura si è affidato alle mani capaci ed amichevoli di Greg Leisz, ormai lanciato come produttore e musicista di studio (ha lavorato con Joni Mitchell, Lucinda Williams, Brian Wilson, Peter Case, Sheryl Crow, Wilco, Victoria Williams, kd lang etc) e ad una serie di musicisti anche noti: Don Heffington, Greg Boaz, Bob Glaub, i fidi The Guilty Men, The Calvanes, Christy McWilson e l'amico Chris Gaffney. 13 canzoni, quasi un'ora di musica, ma neanche un secondo gettato al vento. Dave inzia con
California Bloodlines, uno dei cavalli di battaglia di John Stewart, riveduto in modo soft, con accompagnamento morbido ed il nostro che canta in maniera quasi confidenziale. La struttura folk originaria viene mutata a favore di una ballata introspettiva.
Redneck Friend di Jackson Browne è stata mutata in un brano bluesato, suonato a tempo di shuffle, con la voce più tesa ed un accompagnamento sciolto.
Kern River di Merle Haggard diventa una canzone western ad ampio respiro e, da grande canzone quale è, non perde un'oncia della sua bellezza e, grazie alla voce roca di Alvin, una steel sognante ed una backing band docile, diventa una delle perle del disco.
Blind Love di Tom Waits muta pelle e suono, diventa quasi blues, fumosa e notturna. Suonata come se il nostro si trovasse in un club dopo mezzanotte, con un bel bicchiere di whiskey in mano (ma questo si adatta a Tom e non a Dave, che non beve alcol), con la chitarra di Leizs che ammicca e la melodia che viene a galla lentamente, ma sempre più caratterizzata. Il folk rock si affaccia in
Here in California, tersa composizione della non dimenticata Kate Wolf: il nostro la rilegge in modo dolce, caricando molto la parte melodica e lasciando fluire la strumentazione, mentre la sua voce si incrocia di continuo con quella di Christy McWilson.
Pochi si ricorderanno di Richard Berry, musicista californiano che ha inciso tra la fine dei cinquanta ed i primi sessanta: anzi penso che la sua canzone più nota,
Louie Louie, sia più famosa di lui. Dave riprende l'oscura
I'm Bewildered e la rifà come se fosse una doo wop song di quel periodo, usando le voci dei Calvanes come coretto di fondo.
Sonora's Death Row è una delle mie canzoni preferite di sempre. Non perché sia nota, ma perché mi è sempre piaciuta: sia nella versione di Robert Earl Keen che, sopratutto, in quella di Leo Kottke. Alvin riprende il brano di Blackie Farrell e lo arrangia in modo epico, alla Joe Ely, facendo diventare questa ballata desertica una leggenda di confine, usando in modo coinciso la strumentazione. Da sola vale il prezzo richiesto.
Down on the Riverbed (Los Lobos) è bella e ben fatta, ma non migliore della versione originale. Ma
Between the Cracks, composta da Dave con Tom Russell nel 1993 per l'album Museum of Hearts, è una vera gemma.
La versione che è apparsa su quel disco non è neanche lontana parente di questa: fluida, corposa, arrangiata in stile messicano, con una fisarmonica alla Flaco Jimenez (ma è Chris Gaffney che la suona) a dettare legge, ci porta sulle strade che vanno da El Paso a Las Cruces, ad ammirare il cielo che si perde nell'orizzonte.
Don't Look Now (John Fogerty) è bella, piacevole e abbastanza diversa dall'originale. E non è neanche molto nota, infatti la versione del nostro sta tra rock e blues, con un bel piano a fare da sfondo. Una vera sorpresa è la turgida rilettura di
Tramps and Hawkers, grandissima canzone del misconosciuto Jim Ringer.
Ballata classica, con una strumentazione ricca dietro alla voce, in lento crescendo, giocata sulla voce caratteristica di Dave, acquista poi suono e si colora di un melodia bella, suggestiva e profonda. Poi è la volta di
Loser (Grateful Dead, cioè Jerry Garcia) che Alvin rivolta come un calzino. La fa diventare più rock, la rallenta, la personalizza in modo inequivocabile, anche se quella melodia unica non si può certamente nascondere: ma il suono che la circonda è più tradizionale, lontano mille miglia da quello dei Dead. Chiusura in bellezza con una versione struggente di
Surfer Girl (Brian Wilson / Beach Boys) che diventa una ballata lenta e quasi sussurrata.
Alvin canta come se stesse eseguendo una canzone d'amore, e le voci dei Calvanes gli fanno da voluto contrasto. Una versione molto bella che corona un album superbo.
Dave Alvin non sbaglia un colpo.