I
Pawtuckets non sono dei nuovi arrivati. Chi di Voi ha la memoria lunga ricorda certamente, un paio di anni fa, la recensione dell'ottimo
Rest of Our Days. Il quartetto di Memphis è formato da
Mark McKinney, voce, chitarra elettrica ed acustica e armonica,
Andy Grooms, voce, piano, chitarra acustica,
Mark Stuart, basso,
Kevin Cubbins, chitarra, pedal steel: aggiunti per le sessions del terzo album due batteristi, Anthony Barrasso & Harry Peel, quindi l'organista Ross Rice, il violinista Eric Lewis e la corista Cory Branan.
Il disco, più maturo dei due che lo hanno preceduto (il primo si intitola
Cloud 9 Ranch), riprende l'eredità lasciata vacante dagli
Uncle Tupelo e dai primi
Jayhawks.
Dogsbody Factotum è un album maturo, sia dal punto di vista dell'esecuzione, che per quanto riguarda le canzoni. E poi, per essere un prodotto indie, ha una incisione ottima ed una elegante confezione digipak. McKinney è il leader della band, scrive le canzoni ed è dotato di una voce caratterizzata, che sta a metà tra quelle di Jay Farrar e di Jeff Tweedy.
Un disco completo che, nei suoi cinquantasei minuti, lascia uscire alla luce una manciata di canzoni vere. Canzoni legate alla propria terra, con il retaggio delle tradizioni di Memphis inserite in profondo, ma con una visione molto ampia che abbraccia rock e country,
Rolling Stones e Flying Burrito Brothers. Il country, pur restando elemento base nella scrittura di McKinney, viene evidenziato abbastanza di rado, con l'eccezione di
August in Arizona e di poche altre, mentre il gruppo palesa anche una predisposizione alla jam, come dimostrano le parti centrali di alcune canzoni,
She's Gone tanto per citarne una, dove le chitarre si incrociano.
Ci sono tutti gli elementi classici dell'alternative country: brani rock, tesi ma mai duri, influenze country, qualche riferimento blues e una forte infarinatura anni sessanta.
She's Gone sembra uscita di botto da un disco dei Tupelos, per la sua caratura melodica, per il tiro delle chitarre, per la melodia a cavallo tra antico e moderno.
Where You Are è più dura, tesa e chitarristica.
Lonely Dreams è una squisita composizione country folk dal tessuto tradizionale, cantata con una voce molto vicina a quella di Farrar. La già citata
August in Arizona è un brano country dall'andamento spedito, con un violino che tinge ancora più di campagnolo la canzone, mentre la voce arrocchita di McKinney ci porta al confine tra Arizona e Messico.
La ballata ha un adamento epico e piace sin dal primo ascolto. Ci sono anche delle pause di riflessione come l'amara
Eleven Point Ferry, una composizione che inizia acustica per diventare fortemente elettrica. C'è la lezione del rock americano in brani come questo, dove le variazioni strumentali sono il punto di partenza su cui sviluppare il motivo.
Going Down, inzio potente, è una fluida ballata rock n' country dal ritmo agile, in cui chitarre e voce si contrastano molto bene.
Empty Bottle richiama atmosfere già note, con la voce distesa e tranquilla, mentre la canzone si sviluppa lentamente, avvolta dalla steel guitar e da un suono fluido ed ovattato al tempo stesso, in decisa contraddizione con quelle che l'hanno preceduta.
River Road è una story song dal timbro classico: un brano dalla forza dirompente, ma denso di melodia che richiama l'epica di John Fogerty, e certe canzoni di
Joe Ely.
L'album si avvia alla fine, ma le sorprese non sono finite.
End it All Blues è una triste elegia voce e piano.
Old Fashioned Way riprende tematiche care alla band, la lezione degli Stones e le linee melodiche dei gruppi country rock del passato.
Broken Heart è un'altra piccola oasi acustica, almeno sino a metà, quando entrano piano e ritmica, con la steel che accarezza la voce: tra le cose più belle del disco. Chiude la lunga
Smooth Water, quasi sette minuti, che conferma il valore del gruppo (notevole l'uso del pianoforte) e la duttilità di Mark Me Kinney.