Un salto nel recente passato del rock provinciale americano, grazie a questa formazione di Richmond, Virginia, che delle intersezioni fra acustico ed elettrico, fra radici e rock'n'roll, fa tesoro per rinverdire la tradizione dell'alternative country più incotaminato. Nulla di nuovo sotto il sole dunque, ma una maturità ed una perfezione nel delineare melodie e impasti vocali che portano
Pull The Brake, secondo lavoro dei
Wrinkle Neck Mules, ad essere un prodotto distinguibile dalla massa di proposte roots e Americana che inondano il mercato, in definitiva uno dei migliori dischi di genere degli ultimi mesi.
Se avete l'animo sensibile per gli Uncle Tupelo, magari quelli più maturi di certi episodi contenuti nell'epitaffio Anodyne, oppure avete sempre apprezzato formazioni dal carattere godereccio e al tempo stesso romantico come i texani Gourds o gli Old 97's (prova ne siano
Sugar & Sunshine e la conclusiva
Put Your Guitars Where Your Mouth Is), questi cinque ragazzi fanno al caso vostro. Nella ricetta di Pull the Brake nessun stravolgimento di sorta, ma un gioco di chitarre acustiche, banjo e mandolini che va a sovrapporsi minuziosamente con le scosse elettriche di una rock'n'roll band di periferia, toccando temi e atmosfere care al movimento No Depression.
Hanno debuttato nel 2003 con il già positivo
Minor Enough, accolto con favore in Inghilterra; oggi alzano la posta delle loro ambizioni registrando il disco agli Haunted Hollow Studio di Charlottesville con la produzione di Chris Kress e avvalendosi delle collaborazioni di Bonnie "Prince" Billy, un cameo vocale nellla suggestiva ballata desertica
Lowlight, Brian Jones (batteria, Agents of Good Roots), Anne Marie Calhoun-Simpson (violino e viola, dagli Old School Freight Train) e Rob Evans (tastiere, Watts Passage). A queste presenze va aggiunto l'essenziale gioco di squadra dei
Wrinkle Neck Mules, che condividono il songwriting e persino il cantato: la maggior parte dei brani è affidata alla voce di Andy Stepanian (chitarre), ma il turno spetta anche a Mason Brent (chitarre, mandolino, pedal steel), Chase Heard (chitarre, banjo) e Brian Gregory (basso), ai quali si aggiunge il batterista Stuart Gunter.
Su questa linea l'eccesiva somiglianza del materiale viene stemperata, anche se la maggiore critica che va mossa a Pull the Brake è proprio il suo intestardirsi su una lunga sequenza di ballate country rock rurali e ciondolanti (
Eyes Down, Light of Day, Weeps, When Things Unravel), alternate a marcette agresti con ampio uso di banjo e mandolino (
Okeechobee, gli accenti bluegrass di
Push the Pedal), e variando la ricetta secondo le regole del roots rock più genuino (
True to the Vine, Mecklenburg County).
Un disco più contenuto (qui superiamo l'ora) avrebbe forse aumentato il fascino "demodè" di
Pull the Brake, il quale resta comunque una lezione di stile alternative country.