Sono ormai sei anni che i
Bishops Alley propongono il loro roots rock venato di country, un sapido mix che li accomuna ai loro conterranei
Cross Canadian Ragweed. Dall'Oklahoma la loro fama si è estesa al Midwest e al Texas, con i primi due album che hanno avuto un buon riscontro a livello locale (il secondo disco è stato curato da Steve Palousek come sound engineer e da Rodney Pyeatt come co-produttore). "
Whiskey Blues Revue" mostra una notevole crescita come suono e una maturità interpretativa che fà del quartetto composto dal lead vocalist
Jared Sutton, dal chitarrista
Jarrod Baker (anche al madolino, armonica e tastiere), dal bassista
B. Styles Lyle e dal batterista
Shaun Cook una realtà da conoscere nel panorama musicale roots statunitense.
La prima parte di "
Whiskey Blues Revue" è decisamente grintosa e rock, quel rock che storicamente il Sud ha proposto personalizzandolo con venature blues e country, diventando una vera e propria bandiera di quei luoghi. "
Wasted Year", "
Rearview Mirror", "
The Other Side", "
Bathtub Brew", "
She's Alright" e "
I Don't Regret" sono canzoni figlie legittime dei Lynyrd Skynyrd e dei Black Crowes e appassionano per freschezza e cuore. Un discorso a parte merita la canzone che dà il titolo all'album, "
Whiskey Blues Revue", una ballata di grande fascino con una melodia che colpisce subito l'ascoltatore. Decisamente uno degli highlights del disco.
Nella seconda parte le atmosfere si rilassano, si fanno più evocative ed acustiche anche se non mancano momenti in cui ("
Silently Seducted") le chitarre elettriche tornano a fare sentire la loro presenza. "
Qualmus" con i suoi delicati intrecci di chitarre acustiche e mandolino e l'armonica a guidarne la melodia, le ottime country songs "
Outlaw Anthem" e "
Let Me Be Me" e la notevole conclusione di "
Homegrown Remedy" bilanciano un album indubbiamente ricco ed interessante. Raccomandato a coloro che amano i suoni più robusti e rock-oriented dei gruppi citati in precedenza.