Ormai penso che
Lloyd Maines i dischi li produca anche di notte. È ormai diverso tempo che recensiamo, con cadenza praticamente mensile, uno se non due dischi prodotti dall'ormai novello Re Mida texano, quasi tutti di giovani artisti, all'esordio o quasi, provenienti dal Lone Star State. Sino ad ora non abbiamo mai avuto una delusione da Maines: alcuni di questi albums erano buoni, altri ottimi, altri ancora eccellenti (certo, il merito principale va alla bravura dei vari artisti, ma ha Maines va comunque riconosciuto un fiuto eccezionale.
Questo album d'esordio degli
Edge City (non sono una band. ma un duo), dal titolo
Mystery ride va inserito senza dubbio, e senza esagerare, fra gli eccellenti. Andiamo con ordine: gli Edge City sono formati da
Jim Patton un lungagnone non ceto di primo pelo (a giudicare dalle foto) e dalla cantante
Sherry Brokus, che è anche sua compagna di vita (ma anche Patton canta e. anzi, la maggior parte dei brani del disco hanno lui come lead vocalist).
Ebbene, questo loro esordio è stato per me un fulmine a ciel sereno: un disco di straordinaria intensità, brani di assoluta bellezza, eseguiti con finezza inusitata e. ma su questo vi erano pochi dubbi, con una produzione di prim'ordine. Patton è un cantautore molto valido, bravo anche come chitarrista ritmico, ed i suoi racconti traggono ispirazioni letterarie colte (Hemingway, Fitzgerald, Kerouac, Chandler e Salinger gli autori da lui citati, mica pivelli), mentre il sound non è tipicamente texano, in quanto i due sono originari del Maryland e sono emigrati ad Austin soltanto in un secondo momento.
Così nei vari brani troviamo diverse influenze, come Byrds (forse la più palese), Tom Petty, Bob Dylan, The Band, oltre ad un "minore" come Willie Nile (la voce ed il modo di porgere le canzoni di Patton hanno molti punti in comune con il bravo ma sfortunato rocker): la Brokus è poi un'interprete molto brava, con una voce chiara e limpida, e fra i sessionman coinvolti, oltre a Maines, spiccano i nomi di
Glenn Fukunaga (bassista di Joe Ely), ma soprattutto di
David Grissom alla chitarra solista (ex Ely e Mellencamp band), uno dei migliori chitarristi americani per conto terzi. Dodici brani, tutti originali tranne uno: non ce n'è uno sottotono, ed il disco si ascolta tutto d'un fiato.
L'album ha un grandissimo inizio con
Will not let you down, meravigliosa canzone (non esagero con gli aggettivi), ballata ariosa ed aperta, con una melodia di straordinaria fluidità, voce della Brokus perfettamente intonata, e bell'assolo centrale di chitarra McGuinn style. Da sente e risentire.
No reason non è di molto inferiore: ballata elettrica con un violino nostalgico in sottofondo, Patton canta con scioltezza ed il brano scorre che è un piacere. Maines dosa i suoni con la consueta precisione svizzera, dimostrando di saperci fare anche in mezzo a sonorità meno texane del solito: il resto lo fanno le canzoni.
Million miles away è una moderna folk song, elettrificata e molto intensa, con un ritornello che si ripete fino a non uscire più dalla testa di chi ascolta.
I turn to you è una deliziosa slow ballad di stile country-folk, punteggiata da una gentile fisarmonica.
La mossa outsider è di stampo dylaniano, la lenta Iuggler, molto byrdsiana nell'accompagnamento, fa risaltare le doti di Patton come songwriter. Un brano coi fiocchi, ancora con Dylan dietro le spalle, ma con il sigillo della personalità dell'autore: sembra quasi impossibile che
Mistery ride sia un debut album. La dolce
Finest our prelude ad una cover molto particolare di
It's all over now, baby blue: tempo veloce, ritmo sostenuto, sezione ritmica formato stantuffo e la vecchia folk song di Dylan assume tonalità quasi rock'n'roll. anche se la preferisco ancora nel formato originale.
La bella
Prisoner of the blues è la prima canzone con riminiscenze texane: immaginatevela con la voce di Willie Nelson e concorderete con me. La tenue ballad
Aliceanna St. e l'evocativa
Baby I remember you fanno da apripista per la conclusiva e lunga (più di otto minuti)
By the water, brano che inizia come una ballata interiore di stampo autunnale, ma poi si velocizza, senza però perdere un millesimo del suo fascino: la melodia, giusto a metà tra Dylan e Springsteen, è di quelle che fanno grande un disco. Che altro aggiungere? Semplicemente uno degli esordi più fulminanti degli ultimi tempi. Per me, disco da avere.