CRACKER (Greatest Hits Redux)
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  Recensione del  27/04/2006
    

Troppo normali i Cracker non sono mai stati e col tempo ci hanno abituato a dischi spiazzanti, diversi l'uno dall'altro e non riconducibili ad una unica ispirazione musicale. All'inizio il gruppo di Johnny Hickman e David Lowery, entrambi cantanti e chitarristi, sembrava uno dei tanti affiliati al culto dei Replacements e del loro rock nervoso e umorale, poi con Kerosene Hat, complice anche una grafica di copertina molto western, sembrò che le strade intraprese dai Cracker si dirigessero a ovest alla ricerca di radici e terre promesse.
La parziale smentita offerta da The Golden Age rimetteva in discussione il gruppo lasciando perplesso l'ascoltatore, diviso tra una vaga impressione di Gin Blossoms e le melodie pop dei Counting Crows. A ben vedere la miglior fotografia del gruppo la offriva Garage D'Or, un rappresentativo greatest hits del 2000 rimpolpato da un bonus cd comprendente rarità, brani live e amene curiosità, tra cui un azzeccata ripresa di You Ain' Going Nowhere di Bob Dylan.
A mischiare ancor più le carte arrivava nel 2003 Countrysides, un ottimo album passato purtroppo in silenzio che arruolava di diritto i Cracker nell'arruffato e variopinto esercito dei nuovi outlaws del country-rock con una serie di cover in chiave roots davvero splendide. Si passava da Up Against The Wall Rednecks Mothers di Ray Wyle Hubbard a Buenas Noches From A Lonely Room di Dwight Yoakam toccando squisitezze come Truckload Of Art di Terry Allen, The Bottle Let Me Down di Merle Haggard e Sinaloa Cowboys di Springsteen, una sequenza di canzoni in grado di rivelare in modo definito l'appartenenza del gruppo al rinascimento delle radici della musica americana. Interpretazioni personali e fuori dall'ordinario di un patrimonio ormai classico, caratterizzate da una trasposizione informale e volutamente di basso profilo, come se si trattassero di canzoni suonate attorno al fuoco di un bivacco nel più puro stile della frontiera.
Un album, Countrysides, che mi ricordava per umori, atmosfere e suoni il Lost Weekend di Danny & Dusty da cui iniziò il rinascimento roots. Questo sembra essere il nuovo orizzonte dei Cracker, come si deduce anche dagli ultimi brani di Greatest Hits Redux, tutti segnati da un vitale roots-folk-rock. Un greatest hits questo, nato in modo anomalo. Passati dalla Virgin alla Cooking Vinyl, i Cracker hanno deciso di accontentare i loro fans reincidendo le loro canzoni più conosciute, in pratica un nuovo greatest hits, con una line up più consona alle recenti uscite del gruppo.
Un operazione inusuale che conferma il loro anticonformismo e la voglia di mettersi continuamente in discussione. Il gruppo con questo lavoro non disconosce il passato, anzi, ma sottolinea l'evoluzione di una canzone come qualcosa di non definitivo e statico, capace di svilupparsi nel tempo e di assorbire nuovi imput come fosse un essere vivente che cresce.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Se si confrontano le canzoni contenute nel precedente greatest hits Garage D'Or con quelle del Greatest Hits Redux ci si accorge che i loro classici ovvero Teen Angst (What The World Needs Now), I See The Light, Get Off This, Low, Euro-Trash Girl hanno resistito al tempo e sono addirittura migliorati e che il nuovo ensemble (assieme a Lowery e Hickman c'è il tastierista Kenny Margolis, vecchia conoscenza con Willy De Ville, il batterista Frank Funaro e il bassista David Immergluck, con John Hiatt in Walk On e Crossing Muddy Waters) offra al vecchio materiale nuova linfa e freschezza dia un tocco roots che non guasta. Rispetto al precedente greatest hits ci sono inoltre alcuni estratti di Countrysides in modo da completare un range musicale che dal pop arriva al rock passando per il southern rock, il blues, il country-rock e qualche accenno jam. Se è vero che il gruppo si è ormai assottigliato ai due chitarristi (una storia che ricorda quella dei Green On Red) non è di nostalgia che si soffre ascoltando il Redux ma, al contrario, nuovi piaceri aggrediscono le orecchie confermando l'impressione che i Cracker siano stati per molti versi sottostimati.
Basta immergersi nell'impellente sound e nelle parole sciolte di Get Off This o nella tesa e antemica Teen Angst per capire le ingiustizie del rock, due pezzi "svelti" che dicono quanto brillante sia il loro rock. Oppure bearsi del clima indolente e un po'malato di ballate come Low o della loureediana Euro-Trash Girl per accorgersi dell'imperdonabile silenzio di tanta critica cosiddetta specializzata. Tra chitarre svolazzanti, fisarmoniche roots, sgangherato blues, fremente rock n'roll e una sottile e maliziosa linea pop, i Cracker raccontano al pubblico distratto e disattento il loro universo musicale con tredici canzoni che sono una meglio dell'altra.
C'è di tutto e nella forma migliore, dal campagnolo Lonesome Johnny Blues al crudo powerpop urbano di Sweet Thistle Pie con tanto di armonica insidiosa, dalla ballata un po' Young e un po' Wilco di Big Dipper con annessi piano e malinconia allo strambo Farfisa sound di Ain't Gonna Suck Itself, un brano che riporta in auge l'impensabile tex-mex beat di Doug Sahm a del Sir Douglas Quintet. C'è anche la strepitosa versione di Duty Free di Ike Reilly, una evocativa e romantica roots-ballad che pare una dimenticanza di quel Perduto Weekend di Danny&Dust, a chiudere questa preziosa collezione di canzoni e rock. Perdersi questo Greatest Hits Redux è un vero crimine, credetemi.