TOM RUSSELL (Love & Fear)
Discografia border=Pelle

     

  Recensione del  27/04/2006
    

Hotwalker (2005) era stato uno scivolone, Indians Cowboys Horses Dogs ('04) un disco un po' troppo ingessato. Ma Tom Russell è una pellaccia e non avevo il minimo dubbio sul fatto che sarebbe stato in grado di riprendersi: un tizio che si è laureato in criminologia, ha insegnato per un anno in Nigeria (in periodo di guerra, tra l'altro), ha vissuto tra la Spagna, il Canada, Los Angeles e il Texas, uno così dicevo volete si scoraggi per le osservazioni di noi poveri imbrattacarte, che amiamo tanto i suoi dischi da sezionarli in ogni minimo dettaglio, muovendo critiche a canzoni che, in considerazione della spazzatura che circola, andrebbero accolte come la manna dal cielo?
Love & Fear, infatti, è il suo album più azzeccato dai tempi di Borderland ('01), nonché uno di quelli dove risulta meglio riuscito il matrimonio tra l'anima elettrica e quella acustica della sua musica, sempre concentrata su di un nocciolo di scrittura dove country, folk, tradizione "texicana" e rock'n'roll convivono con serenità olimpica.
Come tanti altri songwriters a lui contemporanei, anche Tom Russell non ha potuto fare a meno di dedicare un disco intero al senso di fragilità e insicurezza che oggi serpeggia in tutta l'America: di spostati, falliti e dropouts vari ci ha sempre parlato, ma stavolta l'ha fatto in modo inedito, calando i propri personaggi in una realtà sfuggente e violenta dove le crisi sociali (relative alla povertà e alla mancanza di aspettative della gente comune) riescono in qualche modo a stemperarsi negli affetti privati ma lasciano dietro di sé un'ombra lunga d'inquietudine che sembra non volersene andare.
L'amore (love) che vince la paura (fear), insomma, anche se questa è pronta a tornare sempre e comunque alla carica sotto forma di odio razziale, invidia o conflitto economico. Spesso Russell ha parlato del presente riflettendolo nel passato (si pensi alla spicciola lezione d'antropologia svolta con l'imprescindibile The Man From God Knows Where, '99), mentre questa volta le sue liriche, tra le migliori che abbia mai scritto, sembrano affondare con testardaggine nella miseria materiale e spirituale che ha contraddistinto le due legislature di Bush jr.
È indubbio che il disilluso protagonista della notturna, strepitosa ballad elettrica Beautiful Trouble (che si autodefinisce "looking for that Little yellow-haired girl / like Sterling Hayden in a beat-up film noir world", la rima dell'anno o poco meno) e quello della scanzonata, trascinante e rockinrollistica Stealing Electricity, spinto a rovistare nei rifiuti altrui "dalla povertà del proprio spirito e dalla debolezza della propria carne", condividono un malessere profondo che il desolante quadro politico del paese contribuisce ad acuire, e se qualcuno dovesse nutrire dei dubbi circa le posizioni di Tom Russell in materia, basterà l'ascolto del rovente rock-blues di Four Chambered Heart per dissiparli.
Un attacco senza mezzi termini ai "falsi idoli" dell'attuale amministrazione ("Cristo ha detto: il mio regno non è di questo mondo/Ma diavolo, questi vogliono stabilire il loro regno terreno ad ogni costo") e all'acquiescenza di quella fetta di popolazione che l'ha votata ("cresciuti tra pubblicità e religioni organizzate"), la canzone più ferocemente politica degli ultimi sei mesi assieme alla We Can't Make It Here di James McMurtry. Il risentimento di Russell è esplicito anche in Stolen Children, eccelsa ballata che prende le mosse dalla sua attività di educatore per descrivere una vicenda di disfacimento familiare tristemente ordinaria e se la prende con la mancanza di umanità di certi professionisti ("The family was 'disfunctional'/ That's the word doctors loved to use/'A worn-out, cheap, pretentious term walkin' 'round in $100 shoes").
Ogni testo andrebbe citato nella sua interezza, il ritratto del boxeur in là con gli anni dell'incalzante The Pugilist At 59, il cicatrizzarsi delle ferite d'amore auspicato dal country-rock semi acustico di It Goes Away, la solitudine di chi ricorda i travagliati incontri sentimentali di una vita in All The Fine Young Ladies o l'invito ad andare avanti, nonostante tutto, rivolto al "vecchio cuore" (Old Heart) dell'omonima traccia conclusiva, superbamente incorniciata da un inusuale arrangiamento jazz, ma naturalmente occorrerebbe un numero monografico.
Nei tempi contingentati di una semplice recensione, mi preme dirvi che Love & Fear è stato prodotto dallo stesso Russell con l'aiuto dei musicisti Gurf Morlix e Mark Hallman (che nel disco compaiono anche nei ruoli, rispettivamente, di bassista e percussionista); che a suonarlo ha provveduto il solito, fidato stuolo di amici: l'immancabile Andrew Hardin alla chitarra, Fats Kaplin alla steel, Joel Guzman alla fisa, Barry Walsh alle tastiere, Glenn Fukunaga al basso e il duo Michael Longoria/ Rick Richards ad alternarsi dietro i tamburi.
Lo separa dalle quattro stelle un lieve calo di tensione riscontrabile nella parte centrale, composta da un trittico di canzoni - The Sound Of One Heart Breaking (in duetto con Gretchen Peters), Ash Wednesday (idem), Kansas City Violin assolutamente non brutte ma sostanzialmente intercambiabili. In definitiva che, sebbene non lo si possa definire il disco migliore di Tom Russell, di certo si impone come uno dei più sentiti, confermando che il suo autore, piuttosto che inseguire il "disco perfetto", preferisce sporcarsi le mani con i tentennamenti della vita quotidiana.
È uno di quegli artisti che puntano allo stomaco invece che all'intelletto, e a questo punto credo non ci sia bisogno di specificarvi a quale delle due categorie vada la mia simpatia.