Era dai tempi di
Golden Down ovvero dal lontano 1981 che
Willie Nile non faceva un disco così bello. Non che la sua carriera sia costellata di dischi, cinque più un live semi-ufficiale in venticinque anni sono un magro bottino per chi al tempo del primo mitico album fu salutato come la più riuscita sintesi di Springsteen che suona Dylan con gli strumenti dei Clash. Vero è che
Beautiful Wreck Of The World si era guadagnato nel 1999 la segnalazione di Billboard come uno dei migliori dischi dell'anno e che il suo unico lavoro per la Columbia,
Place I Have Never Been del 1991, annoverava un paio di canzoni davvero buone ma col passare del tempo il piccolo e gracile Willie si era infilato in quel limbo di musicisti che avevano brillato una sola stagione e poi erano diventati oggetti di culto nella vecchia Europa.
La solita vecchia storia del beautiful loser che non meraviglia più nessuno disattesa da
Streets Of New York, un lavoro che porta una brezza di aria fresca nella carriera di Nile. Come ha modestamente affermato
Lucinda Williams, una che di talento e sensibilità se ne intende "
Willie Nile è un grande artista e se nel mondo ci fosse giustizia sarei io ad aprire i concerti per lui e non viceversa". È una delle tante lodi che accompagnano l'uscita di
Streets Of New York, un album che segna una rinascita nella vita artistica di Nile riconsegnandoci un rockwriter in forma dal punto di vista della scrittura, capace di appassionare di nuovo con ballate romantiche, epici talkin' dal colore bluastro e nervosi colpi di rock urbano targato New York.
Un album che si immerge negli umori delle strade di New York cogliendone l'anima e lo spirito, un album che evoca il romanticismo di Dion, le ombrosità di Lou Reed e la poesia di Dylan. "
Willie è così bravo che non riesco a credere che non sia del New Jersey" ha detto un divertente
Little Steven mentre il principe nero della città
Lou Reed ha sentenziato "
Un grande album. Amo le cose che Nile ha scritto a proposito del mio idolo Bo Diddley".
E poi ci sono gli elogi di Bono, Ian Hunter e Graham Parker, parole che inquadrano un disco ricco di riferimenti letterari, di citazioni musicali, di arrangiamenti capillari, di canzoni suonate col cuore in cui tristezze e amori si susseguono in un saliscendi di emozioni dove è possibile trovare l'effervescente e rockato Nile degli esordi e un autore maturo che ha vissuto sulla propria pelle gli alti e bassi della vita e del lavoro.
Chitarre e ritmo al servizio di un rock tagliente ed elettrico ma anche l'epica narrazione autobiografica di
Back Home e l'armonica della crepuscolare
Lonesome Dark Eyed Beauty due brani segnati dal Dylan della svolta elettrica che mettono in luce la finezza lirica e melodica dell'autore. In particolare la splendida
Back Home con il suo scorrevole talkin' a ruota libera carico di ricordi, punteggiato da uno splendido Hammond vintage lascia esterrefatti per bellezza e intensità catapultandoci in quella New York di poeti e balordi che negli anni 70 partoriva grande rock e grandi songwriters.
L'ombra di Dylan aleggia in alcune delle strade di
Willie Nile ma è il figlio Jakob a passeggiare fisicamente tra esse. Presente un po' dappertutto come invitato speciale, lascia traccia di sé in quelle canzoni dove l'accoppiata con Nile arricchisce uno stile brioso e dinamico fatto di chitarre, ritmo e un organo in retrovia che pompa insistente.
La dimostrazione viene dalla solare
Game Of Fools, una traccia che potrebbe benissimo far parte di un album dei Wallflowers.
Streets Of New York è un insieme di short stories che ricompongono la possibile avventura artistica di
Willie Nile senza nessuna necessità filologica. Piccoli schizzi di ambientazione urbana dove trovano posto i ricordi entusiasti di un giovane di Buffalo alla conquista del Greenwich Village e le amare riflessioni di un uomo che combatte contro la logica del soldo padrone di tutto, come sarcasticamente suggeriscono le parole di
Best Friends Money Can Buy.
Dall'epoca d'oro del Village fine anni '70 al nuovo secolo, Nile mette insieme quattordici canzoni che sono una ventata di freschezza nella sua discografia e testimoniano di un artista sensibile e versatile che sa raccontare storie con l'ingenuità della favola, come succede nella divertente
Il Giorno In Cui Vidi Bo Diddley in Washington Square e nello stesso tempo riesce a dare credibilità ad un rock ruvido e romantico che infiammerebbe il palco del Bottom Line, se questo fosse ancora in funzione.
Che non sia un disco piagnucolone e passatista da "
com'era bello il nostro piccolo mondo antico" lo dimostrano i suoni, moderni e nello stesso tempo classicamente rock n'roll, adatti sia alle ballate sia alla durezza di canzoni che sanno convivere con tempi cinici e brutali come questi. Se
Asking Anne Out è ancora dettata dal cuore con l'intervento di un mandolino che ingentilisce di country il tipico stile urbano del nostro e
Welcome To My Head vi da il benvenuto con un pop chitarristico di vago sapore british,
When One Stands si inoltra nei suoni meticci di una città che ha sempre nutrito rispetto per il reggae.
Pare rubato a qualche disco di Garland Jeffreys o di Graham Parker, una dolce ipnosi messa in mezzo alle tensioni di
Whole World With, acri rumori punk da suburbia, di
Cell Phones Ringing (In The Pocket of The Dead), specie di nuova versione della sporca e graffiante
Old Men Sleeping On The Bowery (era sul primo album del 1980) e di
Police On My Back, scalpitante omaggio ai Clash, inossidati idoli del nostro.
Titoli che stabiliscono le coordinate di un disco rock n'roll diviso tra ballate, pop ariosi e chitarristici e sferzanti ganci di vitale elettricità metropolitana. La chiusura è affidata a
Streets of New York, non poteva essere diversamente, una ballata springsteeniana con piano e armonica che con un pizzico di enfasi trasmette il fascino di una città senza eguali, nelle cui strade si sono scritte le pagine più importanti della nostra musica. Bentornato Willie.