ROSAVELT (The Story of Gasoline )
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  Recensione del  22/01/2005
    

L'aria che tira in questo terzo lavoro dei Rosavelt è chiara fin dal principio. Si capisce esattemente da dove provengono e dove con ogni probabilità vorrannno condurci nei prossimi quaranta minuti di The Story of Gasoline. L'immaginazione non è il loro forte, ma non è detto che tutto ciò sia una colpa, anzi la sorpresa è proprio constatare che il suono sporco, rigorosamente live e saturo di chitarre del disco non appartiene ad una banda di imberbi giovanotti di Cleveland, ma ad una formazione che con molte miglia nelle scarpe ha ancora voglia di accendere un amplificatore e vedere cosa succede.
Il rock'n'roll dei Rosavelt si tinge moderatamente di roots e ballate da Midwest americano, ma mantiene un cuore garage che la produzione di origine controllata di Don Dixon ha catturato in soli due giorni di sessione. Christopher Allen possiede quello sfacciato timbro vocale che infila le sue canzoni sulla direttrice dei Replacements, dei Soul Asylum meno edulcorati e di tutta la progenie di Minneapolis. Jesse Bryson fa da spalla con le sue sfuriate elettriche restando sempre sul pezzo.
Così arrivano al bersaglio Gasoline e The Last Heartache, o le rasoiate di A Little Bit of Trouble. E' uno scherzo del tempo, sembra di essere catapultati in pieni anni ottanta, nella provincia americana del primo college-rock: ogni tanto affiorano profumi di Paisley Underground, salvo ritornare sui binari di un boogie rock squadrato e tagliato con l'accetta (Desperate for Cool). Il piatto forte della casa restano comunque quegli svarioni melodici che sempre sono piaciuti a gente come Dave Pirner e Paul Westerberg (Perfect Girl, Bright Blue Hell, Already Been to Hell), ora colorati di jingle jangle alla Tom Petty (Pointed Pistol), ora orgogliosamente ricoperti di una scintillante patina stradaiola (la strepitoso finale al cardiopalma di Broken Little Heart).
Innocenti questi Rosavelt, che fa piacere sapere discepoli pentiti dell'alternative-country: qualche addetto della stampa specializzata americana li ha più volte accostati ai primi acerbi Wilco di A.M., ma evidentemente minacciati dal pesante paragone si sono scrollati di dosso gli ultimi rimasugli acustici e country oriented (ancora rintracciabili in Sunday 3am Blue) per abbracciare la causa di un rock'n'roll ribelle e coinvolgente. Benvenuti.