Mike McClure non è molto conosciuto, ma i più attenti avranno sicuramente notato il suo nome. Infatti Mike è molto attivo, e da molti anni a questa parte. Una vera forza nell'ambito del cosidetto Red Dirt Sound, il movimento che coinvolge il meglio dei musicisti dell' Oklahoma, dove abbiamo conosciuto gente come Bob Childers, Red Dirt Rangers, Cross Canadian Ragweed, Jason Boland and the Stragglers, Tom Skinner, T. J. McFarland, Marshall City, Brandon Jenkins, Steve Ripley & Tractors, Wade Bowen etc. È stato, per circa dieci anni, leader e membro fondatore della band dell' Oklahoma The Great Divide poi, nel 2002, è uscito dalla band ed ha inciso un album come solista,
Twelve Pieces (edito dalla Compadre, l'etichetta attuale di James McMurtry).
In seguito ha pubblicato tre EP ed un altro CD,
Everything Upside Down, che ha prodotto il piccolo successo
Don't You Say Anything. Come la maggior parte dei musicisti dell' Oklahoma si è spostato in Texas, dove ha trovato una seconda patria. Qui ha formato la
Mike McClure Band (Mike McClure, voce solista, chitarra acustica e solista, Eric Hansen, batteria, Jamie Kelley, basso, Al Gamble, organo) e, solo qualche settimana fa, ha pubblicato l'eccellente
Camelot Falling.
Ma, oltre a questa sua attività di musicista, McClure ha anche lavorato moltissimo come collante con le altre band dell' Oklahoma, facendo il produttore e l'uomo di studio per gente come i
Cross Canadian Ragweed (ha prodotto quasi tutti i loro dischi, compreso l'ultimo Garage), Stoney La Rue (il nuovo lavoro The Red Dirt Album, molto interessante)
Jason Boland and the Stragglers, The Deadringers, The Great Divide, Matt Meade, Austin Allsup, Scott Copeland, Frank Neville, Texas Ride ed altri. Come si può capire Mike Mc Clure è un musicista di talento: e le sue molteplici attività hanno migliorato la qualità della sua musica ed anche la sua scrittura.
Camelot Falling, che dalla copertina non fa capire minimamente il contenuto (ha una iconografia del tipo I Cavalieri della Tavola Rotonda) è un disco bello e ben fatto.
McClure mischia con abilità country, rock e folk, regala un paio di covers da urlo e piazza almeno cinque canzoni di grande spessore. Non è un novellino, si vede che ha esperienza, il suono della band lo conferma, e la sua voce è ben impostata e carica di feeling.
Camelot Falling ha tutte le carte in regola per diventare uno sleeper, uno di quei dischi che vengono scoperti e che poi, lentamente, si prendono uno spazio nel cuore di coloro che amano il suono Americana, uno di quei dischi che, tramite il passaparola, possono diventare anche importanti.. L'album inizia con una cover splendida di
Into The Mystic di Van Morrison. Il suono è caldo e presente, la voce tiene in modo perfetto, e la rilettura di McClure e della sua band è tra le più belle che ho mai sentito. Into the Mystic è uno dei classici della nostra musica, e la versione di McClure merita di entrare nell'olimpo delle migliori.
Il suono asciutto, la voce equilibrata, la chitarra e l'organo riescono ad emozionare nel profondo. Ma il disco non si ferma certamente qui: anche la seconda cover vale la spesa richiesta. Si tratta di una rilettura maschia di
Roll Another Number di Neil Young, dove McClure arrota le chitarre e mette sul piatto un suono energico, una voce ottimamente impostata ed un senso della melodia poco comune. Il resto è farina del suo sacco: dal rock 'n country creativo di
Walking on The Moon, una ballad dall'invidiabile freschezza che piace al primo ascolto, alla più tesa ed elettrica
Eden Burning / Camelot Falling, un brano rock venato di radici che farebbe l'invidia di Joe Ely.
Where The Wild Ones Run, dalla melodia coinvolgente, è una composizione di grande spessore dove rock e country, ma anche nostalgia e suggestioni, vengono unite con rara intensità. Il disco continua su questi livelli offrendo altri brani di valore come il folk country limpido di
Modelo, voce, dobro e poco altro, oppure la godibile
Don't Fear a Tread, altra ballata di spessore. Il rock non manca, ed ecco la solida
Mustang, che uno come John Hiatt avrebbe inserito volentieri nel suo recente lavoro, oppure il folk bluesy di
Sometimes It's Hard to Tell, la gentile
Remain e l'evocativa
Traveler. Il firmamento del Texas conta su una nuova stella:
Mike McClure.