SOUTHSIDE JOHNNY & THE ASBURY JUKES (Into the Harbour)
Discografia border=parole del Pelle

     

  Recensione del  17/01/2006
    

Bisogna dire che da quando Southside Johnny è diventato indipendente e pubblica dischi sulla sua etichetta Leroy Records sembra rinato: questa ultima sua fatica, dal titolo Into The Harbour, si può tentare di collocarla all'interno di una trilogia cominciata proprio con il suo primo disco svincolato dalle majors. Se con Messin' With The Blues, anno 2000, Johnny si rituffava nel suo amore di gioventù, ovvero il blues, con il seguente disco del 2002, Going To Jukesville, riportava invece in auge il suono trionfante degli Asbury Jukes.
Into The Harbour è un filo superiore ai precedenti e parte proprio da dove l'ultimo album si fermava: è un classico disco di Southside Johnny e dei suoi pards ma va anche oltre e ci fa assaporare qualcosa di nuovo come le sonorità latineggianti di When Rita Leaves. Notiamo subito che non ci sono "perle" regalate dagli amici Bruce Springsteen o Little Steven e nell'album non è presente alcun membro della E Street Band ma solo il suo fidato gruppo e anche la produzione è affidata proprio a John (oh please! ironicamente scrive nelle note di copertina).
Ma il disco parte subito alla grande con Happy, proprio il brano dei Rolling Stones: Southside lo rifa alla sua maniera, con un intro di chitarra subito seguito da armonica e fiati e poi quel ritornello conosciuto che non ti lascia più.... "I need a love to keep me happy"...non c'è che dire gran bella versione di una canzone già bella di per sé. L'album parte proprio bene, belli gli assoli del nostro all'armonica. Dancing On The Edge Of The World è scritta da Johnny insieme al tastierista del gruppo Jeff Kazee con il quale firma anche gli altri brani originali del disco: bisogna dire che Southside ha trovato veramente un partner ideale per la scrittura delle canzoni e soprattutto questa richiama il suono migliore degli Asbury Jukes, quello per cui l'artista si è fatto amare anche in passato.
Entrano subito i fiati a dare quel tocco soul ma è la qualità del brano che convince, la melodia è dolce ma trascinante al tempo stesso e molto caldo è anche il coro dietro alla voce che declama del protagonista. You're My Girl (I Don't Want To Discuss It) inizia invece funky ed è il vecchio brano che è anche sull'album Gasoline Alley di Rod Stewart. La versione data da Southside Johnny è molto potente e Muddy Shews fa un gran lavoro al basso, sicuramente è un brano che negli shows dal vivo può rendere molto di più che su disco. Into The Harbour, la title track, dimostra ancora una volta quanto funziona bene la nuova collaborazione nello scrivere con Jeff Kazee. Il disco rallenta un attimo e da un po' di tregua, il brano è una bellissima ballata con un tappeto sonoro elettroacustico, dove si sente molto il pianoforte, ed in cui si presenta il lato più intimista dell'artista.
La voce è molto calda e la melodia avvolgente ed è il racconto di un ritorno a casa di un uomo stanco cha finalmente ha trovato l'approdo. Notevole l'assolo di tromba nel finale. Si prosegue poi con Hang Down Your Head, il brano di Tom Waits che proviene da quel capolavoro che è Rain Dogs. Come con Happy anche qui Southside fa sua la canzone e la velocizza rispetto all'originale: il risultato è splendido, fiati in gran spolvero e ritmo incalzante ne danno una versione rythm'n'blues e quando la senti le gambe non riescono a star ferme.
E' la classica canzone che non ti stancheresti mai di ascoltare, che appena finita rimetteresti subito da capo e poi c'è un altro di quei ritornelli che non ti va più via di mente. The Time Between invece è un brano abbastanza lento, ben suonato e ben cantato, dove indubbiamente spicca la voce del nostro che canta con voce sofferta la storia di un amore lontano che però il protagonista sa che presto ritornerà. When Rita Leaves è la sorpresa del disco: è il brano di Delbert McClinton che è sull'album Nothing Personal del 2001. Southside la rifà alla maniera di Willy DeVille, in stile latineggiante, con una tromba di sottofondo che ci trasporta verso il confine.
Il risultato è veramente incantevole, probabilmente la canzone più bella della raccolta insieme a Hang Down Your Head: un Southside Johnny in stato di grazia che sorprende e che non ti aspetti ma che va a segno. Don't Call Me Baby è un bel brano soul sempre con i fiati in evidenza (è scontato dire che sono uno dei punti di forza degli Asbury Jukes) e ricorda certe atmosfere anni 70. Tear Stained Letter è una canzone di Richard Thompson che ha rifatto anche il grande Johnny Cash nel disco American IV. Ovviamente le versioni non sono paragonabili, qui posso solo dire che i Jukes spingono sull'acceleratore anche con gli incisivi assoli di Bobby Bandiera e ne rendono una versione fuoco e fiamme che sicuramente dal vivo potrà rendere ancora di più: è solo rock'n'roll ma a noi piace sempre, soprattutto quando è suonato così. Chiudono il disco due brani del periodo Motown, All In My Mind e Nothing But A Heartache.
Il primo è veramente molto soul e Southside da il meglio dì sé come interprete, con voce calda e un filo roca. Il secondo è puro Asbury sound, sono tre minuti di energia che subito immaginiamo sprigionata da uno dei tanti palchi che ogni anno vengono calcati dai Jukes. E' la classica canzone che ti aspetteresti da un loro concerto, magari suonata in qualche locale chiassoso del Jersey Shore. E noi ci immaginiamo già lì, sudati, soddisfatti e naturalmente con qualcosa di alcolico in mano. Questo è un bel disco, Southside Johnny è uno che continua imperterrito per la sua strada, fatta di una passione per la grande musica: lui è così e per fortuna non demorde.