PHISH (Live at Madison Square Garden, New year's Eve 1995)
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  Recensione del  17/01/2006
    

Questo concerto chiude la prima era dei Phish. L'epoca della scalata alla notorietà, l'epoca in cui, da college band, erano diventati una piccola attrazione a carattere nazionale. Lo step seguente li avrebbe portati a suonare nelle arene e di fronte ad un pubblico decisamente superiore. Questo concerto è una sorta di perdita dell'innocenza, dove Trey Anastasio e band si lasciano andare, jammano alla grande e cominciano a chiedersi come mai 35 mila newyorkesi siano accorsi a vederli.
Tre ore e quaranta minuti di Live Phish. Poi bisogna anche dire che i Phans considerano questo uno dei migliori concerti in assoluto della band del Vermont. Dieci anni dopo il passaggio di Jerry Garcia verso l'immortalità, la Rhino crea un marchio apposito e comincia a pubblicare registrazioni Live della seconda jam band Americana di sempre degna figlia della madre di tutte le jam bands. I Phish hanno preso la forma e l'idea dell'improvvisazione come i Dead la mettevano in opera e l'hanno usata come trampolino di lancio per mettere a frutto tutte le proprie idee. Scherzi a parte i Phish erano, una band formidabile, composta da quattro musicisti giovani ma molto preparati, e Trey Anastasio un leader di grande bravura, sia dal punto di vista della scrittura che per quanto riguadava il suono e gli arrangiamenti.
Questo concerto di Capodanno del 1995, registrato nell'immenso catino newyorkese del Madison, ci propone un concerto formidabile pieno di idee, pulsioni, guizzi, accelerazioni, jam incredibili. Siamo nell'era di Rift e Hoist, quando ancora i Phish giocavano con le melodie, prima delle divagazioni jazz funk hard, ed è forse il periodo più bello e creativo della band.
E' lo stesso anno del monumentale A Live One e si sente. Infatti i quattro propongono già delle jam formidabili, dai quasi 17 minuti di Reba al lunghissimo medley che accomuna The Squimimng Coil e Maze (che supera i venticinque minuti). Ma è tutto un insieme di suoni e colori, applausi ed incitamenti, digressioni ed aggressioni, melodie e contro melodie, stacchi e ripartenze, con Page McConnell che duetta bravamente con la chitarra di Trey, mentre Fishman e Mike Gordon formano una sezione ritmica mossa e creativa.
La maratona contiene 27 canzoni ed i momenti topici della serata sono Fly Famous Mockinbird, noto monologo di Trey, la travolgente Runaway Jim (più di 16 minuti), una fluida Weekepaug Groove (quasi 18 mins), sino alla sublimazione di Mike's Song, turgida melodia pianistica che qui viene svolta con continui assoli e supera addirittura i venti minuti. Per arrivare, verso il finale, a You Enjoy Myself, autocelebrazione della band, in un tourbillon di suoni che va oltre il 25 minuti. Insomma il trionfo dell'improvvisazione, con idee a iosa, che vengono unite nelle tre parti dello show, ricco e mai ripetitivo, dopo la parola noia è sicuramente bandita e l'elemento sorpresa sta dietro ad ogni nota.
Pur conoscendo questo concerto da tempo non ho potuto fare altro che entusiasmarmi di nuovo, anche per via della superba incisione della Rhino, tuffandomi a capofitto nel guazzabuglio di suoni ed idee, una sorta di continuo work in progress, che da sempre ha fatto da base al suono della band.
Oltre alla canzoni già citate, ricordo anche The Sloth, Chalk Dust Torture (poteva forse mancare?), Axilla Pt 2, Sanity e Sea and Sand (Who). Il finale, ritmo e feeeling, con Frankenstein di Edgar Winter ed una scatenata Johnny B. Goode di Chuck Berry. E, poi, come si può dimenticare Drowned degli Who che si mischia bellamente a The Lizards di Anastasio? Sentire per credere.