Sgombriamo il campo da equivoci: questo non è un dvd dal vivo dei
Lucero (che si intitolerà
Bright Stars On Lonesome Nights e dovrebbe uscire a momenti su etichetta New Scratch), né tanto meno una qualsiasi celebrazione discografica del gruppo di
Tennessee e
That Much Further West.
Dreaming In America è un film che ha per argomento i
Lucero, nei quali il regista Aaron Goldman ha visto la quintessenza della bluecollar band. Certo, il dvd è accompagnato da un formidabile disco dal vivo dove trovano spazio tutti i travolgenti cavalli di battaglia della band (impossibile non citare
Tonight Ain't Gonna Be Good, Kiss The Bottle, Sixteen, Hearts On Fire, Sweet Little Thing, Tears Don't Matter Much), nonché due strepitose renditions acustiche di
Nights Like These e
The War, che ci rassicura sullo stato di salute di quello che oggi come oggi è senz'altro uno dei migliori rock'n'roll acts in circolazione, ma in fondo si tratta soltanto di un gradito cadeaux.
Questo non vuol dire che chi, come il sottoscritto, reputa i
Lucero di
Ben Nichols (voce e chitarra),
Brian Venable (chitarra),
John C. Stubblefield (basso) e
Roy Berry (batteria) il perfetto anello di congiunzione tra country, Stones, rock sudista e scudisciate punk'n'roll sia destinato a una delusione. Nondimeno, è bene specificare che la presenza dei Lucero in
Dreaming In America è soprattutto dimostrativa; in questo caso, infatti, il gruppo figura nel ruolo di sineddoche per un intero sottobosco di piccole band americane che lottano duramente per guadagnarsi un posticino al sole nel contesto della sempre più ingolfata industria musicale.
Significativa a tal proposito è la scelta di Goldman di non soffermarsi sulla storia o sul pregresso della formazione (anche se in merito non mancano aneddoti gustosi, come il racconto del paffuto e barbuto Venable sull'acquisto del disco che gli ha cambiato la vita, Pleased To Meet Me dei Replacements), preferendo altresì fotografarli in un passaggio ben preciso della carriera, nella fattispecie quello che ha separato le prime quattro o cinque produzioni indie dal contratto con la East West, e quindi dalla distribuzione del colosso Warner Bros, (con tanto di executive estasiato che definisce i Lucero "
la risposta perfetta per il quarantenne appassionato di americana e per l'adolescente che impazzisce per i Dashboard Confessional"), siglato alla vigilia dell'uscita del recente
Nobody's Darling.
Goldman insiste parecchio sulle discussioni tra i vari membri del gruppo, discussioni sia intestine sia allargate a membri esterni ma comunque centrali come il manager o il produttore del momento (un Jim Dickinson che sembra l'orco delle favole), sui piccoli espedienti promozionali inevitabili da escogitare (con tanto di intervista all'addetta al merchandising) e sulla necessità di mantenersi integri e coerenti allo scopo di non venire risucchiati nel marasma di un mercato dove l'offerta esorbita di gran lunga la domanda.
Lo stesso Ben Nichols (splendida ugola scorticata) sembra concordare con questa visione, tanto che il suo discorso di gran lunga più ricorrente nel corso dell'opera è quello che individua i
Lucero come realtà ancora troppo piccola per farsi accalappiare da una major e al tempo stesso conservare un'identità precisa, ed è un concetto su cui il bassista John C. Stubblefield, per esempio, ha parecchio da ridire. Curioso, poi, è osservare i Lucero concentrati e disciplinati come non mai durante le session di registrazione di
Nobody's Darling allo Zebra Ranch del Mississippi, casa del produttore Jim Dickinson (che il gruppo ha contattato per la sua esperienza con Big Star e Replacements): a giudicare dalla sintonia tra le parti in causa, viene da chiedersi da dove sia saltata fuori la discutibile uniformità dell'album.
Mancano del tutto, o quasi, riferimenti ai cambiamenti introdotti dalle nuove tecnologie, ma non escludo si tratti di un'omissione voluta, probabilmente utile allo scopo di mantenere una visione il più concreta possibile sui tentativi compiuti dal gruppo per restare a galla nonostante tutto. Insomma,
Dreaming In America è un documento di grande interesse, oltre che musicalmente inattaccabile, il cui punto di forza consiste in quella che gli americani definirebbero una prospettiva "down to earth", capace cioè di restare attaccata agli aspetti materiali, urgenti e spesso sottovalutati di un'esistenza spesa a inseguire il rock'n'roll.
La caratteristica più interessante del film, infatti, risiede nella sua abilità nel raschiar via qualsiasi patina di romanticismo dalla vita on the road, dalla vita dei Lucero e dai loro 200 e passa concerti ogni anno: perché, come si dice a un certo punto, vivere costantemente sulla strada significa soprattutto non poter fare progetti a lungo termine, essere lontani dalla propria famiglia e dover fronteggiare una miriade di fastidiosi imprevisti. Stringe il cuore guardare la sequenza in cui la band decide di autotassarsi per pagare una seduta di massaggi presso un fisioterapista al batterista Roy Berry, colpito nel frattempo da un terribile mal di schiena e da sempre abituato a dolori al collo e problemi vari alla colonna vertebrale.
I concerti attendono e lo spettacolo deve continuare, non per assecondare le esigenze dello showbiz, bensì perché, in caso contrario, non si mangia. E i sogni di rock'n'roll? Sono ancora intatti, naturalmente, ma devono fare i conti con una realtà spesso brutale che non smette per un solo minuto di stargli alle calcagna.