STEPHEN CLAIR (Under the Bed)
Discografia border=Pelle

  

  Recensione del  14/12/2005
    

Non so molto di Stephen Clair, cantante e chitarrista nato nello stato di New York. Ad ascoltare questo suo terzo disco (il primo, Altoona Hotel, risale a cinque anni fa mentre il secondo, Little Radio, è del 2003) si potrebbe pensare che Clair sia texano. Voce ben modulata, musica secca e diretta, con forti reminiscenze dello stile minimale di James McMurtry. Clair deve qualche cosa a McMurtry, ma lascia andare le chitarre e suona duro. Le sue basi sono folk e rock, ha ascoltato sia Dylan che Woody Guthrie, ha suonato per qualche decennio nei bar e nei piccoli locali della grande mela. Ma Under The Bed mostra una raggiunta maturità, sia a livello esecutivo che dal punto di vista del suono: un suono elettrico, chitarristico, diretto, ma piacevole (sentite It's a Riddle, potrebbe essere la canzone manifesto del disco).
Un suono che nasce dalla vita on the road e dalla voglia di lasciare il segno con qualche cosa di personale. Se la voce, e poi non lo dico più, rammenta McMurtry, il suono è diverso, meno scarno, più potente, meno texano e più metropolitano. Canzoni come Gone Ten Years, la già citata It's a Riddle, l'elettroacustica (qui potremmo tirare in ballo John Hiatt, per l'uso di elettrica e steel), My Heart is Not Broken danno la misura del talento di questo benemerito sconosciuto. La forza della musica americana sta proprio in questi signor nessuno che, una volta che riescono ad emergere ci lasciano di stucco con dischi maturi, seri, ben suonati, incisi come Dio comanda.
Infatti Under the Bed è un disco assolutamente professionale, inciso benissimo e presentato con una veste grafica molto curata. Clair si fa aiutare da gente non molto conosciuta, ma con le mani buone: Simon Austin, batteria, Keith Cristopher, basso, Drew Glackin, lap steel (un suono che caratterizza molto le canzoni di Stephen), Tim Robert, chitarra. Le canzoni, come già detto, sono solide e ben costruite, si ascoltano tutte d'un fiato e non deludono minimamente.
Le tre iniziali basterebbero a rendere il disco appetibile, ma Clair non va certo per il sottile e propone altri brani di valore, partendo da Stupid Game, piena di contrappunti e dotata di un riff ben costruito, The Moon, dagli umori notturni, Following Orders, rock diretto e pulito, A Woman Like You, dalla melodia tersa e giocata su arpeggi di chitarra eleganti. Citiamo anche l'acustica Your Town, l'evocativa Walkabout e la finale I'm Coming Down.