COLIN JOHN BAND (Acousticland Lady)
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  Recensione del  14/12/2005
    

Per essere un signor nessuno Colin John ha una bella porzione di vita alle spalle. Nei suoi viaggi e soggiorni in giro per il mondo ha calcato le local scene di New York, Memphis, Londra, per finire ora in Ohio. Ed ha suonato con Little Mike and the Tornados, CJ and the Hot Mess Co, Ric Lee and Ian Ellis, Gary Brooker, Ben Waters, Henry Gray & Short Fuse, Pinetop Perkins, Big Joe Turner, The Hodges Brothers, Michael Hill. E non è finita. Ha anche già pubblicato sette dischi, sette, a suo nome. Double Impact, Live in the Spirit, Live From Hell, Evolution, Grooveyard Devils, Live Voodoo Surfing e questo recentissimo Acousticland Lady.
Colin John è un bluesman, un patito delle chitarre e suona una acustica, sei o dodici corde, dotata di un corpo di metallo che fa da cassa di risonanza. Una chitarra dal suono tutto particolare. Il suo blues è aspro e vissuto, cesellato sulla voce e sulla chitarra, inventato e costruito nota dopo nota. Per creare questo suono diverso, John si fa aiutare da una band formata da Michael Hill, chitarre varie, Scott Turner, batteria, Steve Calabria, basso acustico e dalle tastiere di Foley Q. Acousticland Lady è un disco sorprendente, che mostra un blues rarefatto e completamente diverso rispetto alla massa di band rock blues che calca i palchi americani: infatti Colin rispetta i dettami del blues classico, ma poi improvvisa sulla stregua delle jam band (ascoltate la finale Your Local Forecast, un vero tour de force).
Un blues con forti elementi southern, come mostra la personalissima cover di Whipping Post degli Allman Brothers, un blues disossato e aspro, come conferma la torturata ma creativa rilettura del classico Down in Mississippi, dove le chitarre si incrociano di continuo in jam session intriganti. Anche la lunga Your Locale Forecast conferma il talento di John e la sua poliedrica visuale musicale. Lo strumentale Acousticland Lady è un banco di prova per la bravura di Colin, mentre la rugosa cover di 32-20 Blues (di Robert Johnson) ridà vigore ad un vecchio classico. Un bluesman bianco di indubbio talento che da una sua personale versione del blues, contaminandolo con influenze jam e tocchi southern.