Non ci siamo mai occupati a fondo su queste pagine dei
Bastard Sons Of Johnny Cash, una band che è in realtà un progetto di
Mark Stuart, songwriter originario di San Diego, che attualmente divide la società con il chitarrista
Mike Turner.
Il nome è certo scherzoso, Stuart non è certo figlio dell'Uomo in Nero (anche se pare che Cash stesso avesse dato la sua benedizione), ma la musica proposta da Stuart e Turner (con un manipolo di validi sessionmen, tra cui il noto
Greg Leisz) è indubbiamente molto seria.
Mile Markers è il loro terzo lavoro (dopo
Walk Alone e
Distance Between) e non solo è senza tema di smentita il loro migliore, ma è anche un gran bel disco, tra i migliori country albums da me ascoltati ultimamente.
Il sound è una via di mezzo tra California e Texas, con un tocco di Messico, con una manciata di ottime road songs suonate in maniera vigorosa, con piglio da rocker: nonostante il nome, Cash non sembra la loro influenza primaria (anche se lo amano senza dubbio), bensì si rifanno alla tradizione più pura, e a tutta una serie di giganti della country music, senza particolari preferenze per l'uno o per l'altro. In pratica, finiscono per non assomigliare a nessuno in particolare.
Dodici brani, quarantadue minuti di musica di grande qualità, senza un solo momento di noia: Stuart ha una bella voce, decisamente duttile, ed azzecca sempre l'arrangiamento giusto per le sue canzoni, passando così con disinvoltura dal country tradizionale, a quello più elettrico di chiaro stampo rock, dall' honky-tonk alla ballata con il sapore del border.
Ed è proprio con il Messico che i BSOJC aprono le danze:
Austin Night è un delizioso uptempo tex-mex, con rimandi a Joe Ely e Chris Gaffney (alla cui voce quella di Stuart somiglia non poco) e grande melodia. Miglior inizio non poteva esserci. Molto bella anche
The Road To Bakersfield, vigoroso country rock elettrico, con le chitarre che macinano note su note ed un ritornello corale da applausi. L'acustica
California Sky è più legata alla tradizione, un racconto tra folk e western con deliziosi interventi di dobro (Leisz) e violino.
Che dire di
Borderline Of The Heart, splendida country song venata di rock, come se Steve Earle cantasse un brano di Dwight Yoakam. La bellissima
King Of The World è uno dei masterpiece del disco: ariosa, fluida, vibrante ballata di stampo californiano, ideale da suonare guidando una decappottabile su una lunga highway assolata. La lenta
Radio Girl regala al disco un'oasi di quiete, mentre la mossa
Night Comes Down è puro country, suonato e cantato come Dio comanda.
Un chitarrone twang introduce la scattante
No Easy Road, texana fino al midollo; con
Lonely Tonight i BSOJC si cimentano con successo con la ballata alla George Jones, costruendo una melodia forse già sentita ma di presa immediata. L'intrigante
Under Your Spell la vedremmo bene nelle mani di Mark Knopfler, mentre
Restless Heart è uno dei brani leader del disco, una western ballad intensa, tipo quelle in cui è bravo uno come
Ray Wylie Hubbard.
Finale con la dolce
The Pride Of Abilene, lento brano di stampo acustico, con pochi strumenti ma tanta anima. Una bella sorpresa dunque: i figli di Cash, bastardi o no, hanno le idee chiare e sanno come metterle in pratica. E il grande Johnny, lassù, sorride divertito e convinto…