Mi ero quasi dimenticato di
Kevin Gordon, cantautore della Lousiana autore di due ottimi albums e di un mini CD di esordio: infatti il suo ultimo disco, l'apprezzato
Down to The Well risale a ben cinque anni fa. Cinque anni sono tanti per un artista famoso, figuriamoci per un indipendente. Ma Gordon è un uomo del Sud, ha la testa dura, e, anche se ha avuto qualche problema (la vecchia casa discografica lo ha lasciato a piedi), alla fine ce l'ha fatta ed è di nuovo tra noi con un album nuovo di zecca, dal titolo
0 Come Look At The Burning. Ebbene, questo nuovo lavoro di Kevin è stato per me una (gradita) sorpresa: ero abituato alle sue canzoni di stampo roots, con un piede nel country, uno nel rock'n'roll e uno nella tradizione (ma quanti piedi ha?), ed in effetti al primo ascolto della sua nuova fatica sono rimasto un po' spiazzato.
Infatti Kevin ha voluto fare un omaggio alla sua terra, la Louisiana (anche se quando ha inciso il disco il terribile uragano Katrina non aveva ancora fatto sentire la sua potenza, e Bush la sua impotenza), rivestendo le sue canzoni di suoni sporchi, duri, neri e roccati. Un disco quindi poco immediato al primo ascolto, ma che col passare del tempo non potrete fare a meno di amare: un disco pieno di canzoni forse meno immediate del solito, ma che hanno una forza ed un vigore elettrico incredibile. Un disco profondamente influenzato dalle atmosfere cupe tipiche dello stato che ha (aveva) New Orleans come città più importante, figlio delle paludi, di John Fogerty e Tony Joe White, che, nonostante sia stato inciso a Nashville (con musicisti poco noti ma bravissimi), sembra uscito da qualche palafitta sul Mississippi.
Un lavoro che forse è il meno adatto per rilanciare una carriera, ma questo depone sicuramente a favore dell'onestà di intenti di Kevin. Il disco si apre con
Watching The Sun Go Down, uno swamp rock venato di gospel, limaccioso quanto basta, uno di quei brani che Fogerty mette sempre nei suoi album.
Find My Way è un up-tempo chitarristico molto bluesato, con Gordon vocalmente molto vicino a John Hiatt. Anche in
Greenwood Girls, prima ballata del disco, si sente la tensione, non c'è rilassatezza, come se qualcosa dovesse accadere da un momento all'altro: bella l'atmosfera notturna creata dalle chitarre.
Ascoltate
Casino Road: batteria esageratamente low-fi, chitarra slide splendidamente sgangherata, voce che viene dal sottoscala. Ecco, se proprio devo fare un paragone per farvi capire che disco è, mi viene in mente un oscuro, bellissimo album di qualche anno fa intitolato Shoot Out At The OK Chinese Restaurant, a nome di un misterioso Ramsay Midwood, con una copertina che ricordava Chicken Skin Music del grande Ry Cooder. Sentite ancora l'evocativa
Joe Light è come se John Fogerty avesse invitato Mark Knopfler a fare un giro della palude. Dopo l'intensa
24 Diamonds, ecco una cover di
Something Heavy (Eddie Hinton) che più sporca non si può, tutta giocata sul dualismo chitarrasezione ritmica.
Omogeneità e qualità, come nella vibrante
Flowers e l'evocativa
Calhoundal passo sonnolento ma dal grande fascino. E poi ancora
Crazy Mixed-Up World (di Willie Dixon), un festival di sonorità oblique e vocalizzi alla Tom Waits. Eppure non si può non rimanere coinvolti. Finale con l'intensa ed emozionante
Heart's Not In It, ballata nella quale Kevin canta come se si fosse appena alzato dopo una sbornia, accompagnato solo da un arpeggio di chitarra, da un organetto e da una leggera drum machine, eppure al termine dell'ascolto chi non ha la pelle d'oca alzi la mano! Bravo Kevin, bel ritorno: un disco sofferto, difficile, ma che se riuscirete a penetrare non potrete esimervi dal fare vostro. Adesso speriamo solo di non aspettare altri cinque anni.