WILCO (Kicking Television - Live in Chicago)
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  Recensione del  18/11/2005
    

Come dice John Stirratt a Marco Denti nell'intervista che trovate su questo stesso numero, tutti i Wilco sentivano che questo - anno del signore 2005 - era il momento giusto per dare alle stampe un album dal vivo. Avendo a che fare con il gruppo di Jeff Tweedy, però, si può essere certi di non andare incontro alla classica autocelebrazione: il proverbiale "doppio live", per la band dell'acclamatissimo A Ghost Is Born non costituisce infatti un'occasione qualsiasi per rivisitare con un pizzico di compiacimento il decennale di carriera, bensì l'ennesimo tassello di un processo di rinnovamento e continua ricreazione di stimoli che ormai ha dello sbalorditivo.
Assomigliano sempre più a un'opera di Robert Rauschenberg, le canzoni dei Wilco, e gli assomigliano come non mai in questa versione live carica di energia e prospettive ribaltate, dacché pochi altri artisti americani degli ultimi anni hanno saputo impiegare, come loro hanno fatto, una gamma di materiali, mezzi espressivi e soluzioni tecniche così variegate; e benché si possa leggere nel percorso dei Wilco una delle ispirazioni più evidenti per le band americane delle ultime generazioni, il loro spirito visionario e sempre propenso all'azzardo li mantiene comunque indipendenti rispetto a qualsiasi corrente o movimento.
Kicking Television, registrato al Vic Theatre di Chicago nei giorni dal 4 al 7 del maggio scorso, fotografa il gruppo nella sua lineup più sferzante e numerosa, quella che prevede, oltre al nocciolo storico dei citati Tweedy e Stirratt, lo scatenato Glenn Kotche alla batteria, Mike Jorgensen alle tastiere, Nels Cline alla chitarra e il polistrumentista Pat Sansone nel ruolo del libero battitore.
Chi dovesse aspettarsi da questo album un amarcord dei Wilco più roots-oriented si prepari a una cocente delusione, perché agli antichi tradizionalismi, nonostante la produzione pulitissima del veterano Jim Scott, possono essere ascritte soltanto la devastante Misunderstood, che apre le danze, l'oasi semiacustica d'una Airline To Heaven virata country e la dolcissima, eterea One By One, ripescata dal passato prossimo del sodalizio con Billy Bragg.
Chi invece ricercasse un febbricitante calderone di energia e trasporto si faccia avanti senza problemi e si prepari a una vera e propria orgia di chitarre, distorsioni ed effetti assortiti, una gargantuesca abbuffata di rumore che fa storcere il naso solo nella parentesi di Via Chicago, splendida ballad qui purtroppo scarabocchiata da un fuoco incrociato di feedback tanto violento quanto gratuito.
Peccato di generosità, ad ogni modo, dal momento che Kicking Television è contrassegnato da ondate sismiche di rabbia e calore: perseguendo il tentativo di guadagnare in visceralità d'impatto e forza visionaria, il gruppo ha scientificamente inselvatichito ogni canzone, sicché il pop'n'roll beatlesiano di Company In My Back, The Late Greats, A Shot In The Arm, Hummingbirds, Heavy Metal Drummer e I'm The Man Who Loves You si è fatto ancor più incalzante, mentre i grovigli chitarristici alla Neil Young di At Least That's What You Said o Hell Is Chrome tramortiscono i sensi in un'assalto all'arma bianca che non mancherà di sconcertare i fans della prima ora.
Parimenti sorprendono una Jesus, Etc. provvista di coloriture soul degne del più sensuale Marvin Gaye, una Muzzle Of Bees che parte folk per tracimare in selvaggia bordata rock, il rock'n'roll bruciante e scalmanato della quasi inedita title-track (stava sull'edizione giapponese dell'ultimo album), le accensioni psichedeliche di Radio Cure e l'elegia funebre di Ashes Of American Flags, esemplificazione assai efficace del senso di perdita e smarrimento che informava i solchi dell'intero Yankee Hotel Foxtrot.
Versioni incandescenti di Poor Places e Spiders (Kidsmoke) preludono infine alla ciliegina sulla torta di una straordinaria Comment, scossone funk-rock che fu della Watts 103rd Street Rhythm Band di Charlie Wright e che i Wilco trasformano nel più accorato, romantico e gospel dei congedi: quasi sei minuti di incanto, giusto il tempo per trarre un respiro profondo e rimettere il disco daccapo.