Siamo nel 1993, il periodo è quello di
Perfectly Good Guitar, pubblicato solo da qualche settimana
John Hiatt si presenta sorridente sul palco, con camicia a quadrettoni e chitarra a tracolla. La voce è forte e profonda, caratterizzata e vibrante: da solo esegue
Icy Blue Heart. E già i brividi scorrono lungo la schiena. Poi entrano i
Guilty Dogs: Michael Ward alla chitarra (il pelatone che poi è andato per un certo periodo nei Wallflowers), Michael Urbano alla batteria ed il bravissimo Davey Faragher al basso (e doppia voce). Serata di gala: band in palla, suono potente, ed il leader sorridente e molto disponibile.
Il suono è chitarristico e muscolare e la performance secca e diretta. John è in forma e presenta, una dopo l'altra, alcune delle sue gemme, incastonandole assieme ad alcune canzoni nuove.
Loving a Hurricane è solida come la roccia, le chitarre vibrano e la gente mostra subito di divertirsi. Tra un brano e l'altro il nostro ammicca, diverte, fa il pagliaccio, dice battute, ma quando attacca a suonare non ce n'è per nessuno, tutti zitti e via.
When You Hold Me Tight ed una ruggente
Your Dad Did, dove le chitarre la fanno da padroni, scaldano la serata. La bluesy
Straight Outta Time e la nera
Memphis in the Meantime confermano che siamo in una serata giusta e la seguente
Something Wild, dura e vitale, chiude un trittico ad alto potenziale sonoro.
Poi Hiatt si avvicina ad un piano elettrico e delizia la platea con una versione sofferta del suo classico
Have a Littte Faith in Me. Siamo a metà concerto. Ritorna la band ed attacca
Buffalo River Home: una versione da brividi, possente, chitarrista, vissuta. Ancora meglio
A Thing Called Love, canzone dotata di un ritornello killer e di un riff chitarristico poderoso. La Raitt l'ha resa famosa ma John la suona come nessun altro.
Angel è ancora tosta mentre
Tennesse Plates scorre veloce con le voci (John e Davey) che si rincorrono.
Il concerto si chiude con la bella
Slow Turning. Non manca ovviamnente il bis ed eccoli di nuovo sul palco:
Perfectly Good Guitar, vibrante e rocciosa, chiude una serata di rock e passione. John presenta la band e quando è la volta di Michael Ward lo chiama Claudio Chiappucci of America (a John l'Italia sta sempre nel cuore). Pur in mezzo ad un suono così elettrico le canzoni di Hiatt brillano per coerenza e melodia: sono forti, appassionate, orgogliose e vibranti. Ce ne sono pochi di cantautori come
John Hiatt.