Nelle note interne del cd Stuart Coupe lancia un interessante parallelo tra le lontane terre di Brisbane, Australia e Tucson, Arizona: clima arido e caldo, città collocate nel bel mezzo del nulla e la gente che va a zonzo in cerca di...visioni, scacciando i propri fantasmi. I musicisti di questi luoghi sembrano possedere tratti comuni, una predilezione per canzoni oscure che riflettono "il suono della desolazione", un deserto musicale che intreccia il country più scontroso con lo stridore di una chitrarra elettrica.
Gli
Halfway sono un ricco esemble di Brisbane che non assomiglia per nulla ai Calexico, mai e poi mai ai maestri Giant Sand, e qui la descrizione precedente può in qualche modo sviare, quanto piuttosto un coriaceo esempio di fedeltà alternative country che potrebbe sbucare dalla provincia americana. In questo riflettono esattamente quel senso di isolamento e spazi infiniti che solo certa tradizione a stelle strisce sembra cogliere alla perfezione, tra le pieghe di un roots rock galoppante, testardo, fuori moda.
Farewell to the Fainthearted è un veloce riassunto del genere all'apice della sua esplosione, o se volete una versione meno incantata, un buon ripasso di tutti i luoghi comuni del genere.
Ancora più spiazzante conoscendo la provenienza dei sette musicisti, tutti bene assortiti, tra cui due autori e cantanti, Chris Dale (anche chitarre e armonica) e John Busby (chitarre), ed una coppia di fratelli di origini irlandesi che aggiungono note rurali (Noel Fitzpatrick alla pedal steel dobro e mandolino, Liam al banjo). Uscito indipendente lo scorso anno per il solo mercato locale, con la produzione di Wayne Connolly, oggi la Laughing Outlaw ne riprende la distribuzione a livello internazionale, regalando un tuffo nostalgico, risalendo agli esordi di Wilco e Son Volt, nonché ovviamente al Neil Young più campagnolo e agli Stones versione "cowboy straccioni" dei primi anni settanta.
Ricordano vagamente quei magici momenti le arrembanti chitarre rootsy di
Patience Back e
Drunk Again e il loro impolverarsi con il suono del banjo e dell'armonica, il sobbalzare cow-punk di
Sure Uncertain, così come la malinconia di
Get Gone sembra uscire dai primi acerbi Whiskeytown di Faithless Street. Pregevole davvero la coralità country di
Compromise for a Country Girl, struggente ballata che si rivelerà infine la specialità della casa (
Miles & Miles, Something for Yourself, Call Anytime), con una evidente tendenza a certi schematismi che resta forse l'unico anello debole all'interno di un esordio tutto sommato assai affascinante. In gran parte già scritto evidentemente, ma qui suonato con una giovanile freschezza che si risolve nella ghost track finale, una struggente cover dell'immortale
Willing di Lowell George (Little Feat).