A tre anni di distanza da
Lost Son (Cavity Search, 1999), i
Richmond Fontainetornano in studio per
Winnemmucca, album costruito attorno al solito sound Alt-Country, qui in veste minimalista, trasudante di american life ed evocativo di suoni troppo spesso dimenticati.
Progetto nato attorno a
Willy Vlautin, storyteller capace ed impareggiabile,
Winnemucca è in grado di far compiere balzi incredibili fra la West Coast di
Late For The Sky (grazie alla pedal steel di Paul Brainard per
Winner's Casino e
5 Degerees Below Zero), capolavoro di Jackson Browne datato 1974, e la provincia tanto cara ai vari Farrar e Tweedy, accantonando a tratti il No Depression, per lasciare spazio a testi diretti e ad inframezzi strumentali degni del Neil Young più acido (
Patty's Retreat).
Nato dall'esperienza vissuta in una cittadina del Nevada (Winnemucca appunto), l'album offre l'alternanza fra spaccati folk (come
Out Of State, Santiam), ballate notturne e provinciali (
Glisan Street e
Somewhere Near) e rock minimalista, orchestrato da una chitarra elettrica, una voce fragile, tronca e sospesa fra arpeggi elettrici, pedal steel e batteria (
Northline). Con una sorta di quiet sound basilare ed uniforme, i
Richmond Fontaine riescono, senza alcun picco di ritmo, a focalizzare e mantenere vivo l'ascolto verso atmosfere periferiche e crepuscolari, fatte di highways, runaways (fuggitivi), e losers (perdenti), per un remake musicale di O Brother, Where Art Thou? Del nuovo millennio.