TOMMY WOMACK (Stubborn)
Discografia border=Pelle

     

  Recensione del  15/02/2004
    

Personaggio atipico nel panorama del rock provinciale americano, Womack si era rivelato, con tutto il suo genuino talento di onesto gregario del rock’n’roll, attraverso quel delizioso affresco di roots music, che risultava essere il suo debutto solista Positively Na-Na. Lontano dai soliti rituali del roots-rock, il buon Tommy proponeva un riuscito intreccio tra lo spirito rurale della migliore country music, il folk di mastro Dylan ed il battito duro dei Replacements, con un evidente gusto pop in sottofondo.
Diretto e stringato come sempre nella durata (quaranta minuti scarsi), ma non per questo scarso nella sostanza, nobilitato dalle presenze di Dan Baird e Jason Ringerberg (Jason & the Scorchers), Stubborn non gode forse del fattore sorpresa e della freschezza invidiabile del precedente lavoro, tuttavia si lascia scorrere con piacere in tutti i suoi tredici episodi. Non c’è un distacco radicale dal passato, ma un naturale proseguimento della prima esperienza solista, anche se si può notare una accentuazione delle radici rock e blues del personaggio.
Predominano infatti i toni vivaci e corrosivi del folk-blues di matrice dylaniana, adeguatamente infettati da una dose massiccia di robuste chitarre elettriche, come dimostrano l’iniziale Up Memphis blues, tagliata in lungo e in largo da un’armonica lancinante, oppure For the battered, più acustica e con uno slidin’ ossessivo. Le chitarre duellano ed impazzano anche nel country’n’roll scoppiettante di Dreams and golden rivers, nel rock’n’roll semplice semplice di Tellin’ you what you want to hear e I don’t have a gun, la più cattiva del lotto.
In verità lasciano il segno soprattutto le ballate, sospese tra il country-blues alla Steve Earle (Going nowhere e Willie Perdue) ed una velata leggerezza pop (She likes to talk e l’ottima They all come back for more). Nota di merito finale, rivelatrice dell’eclettismo di Tommy, la copertura di Berkeley mews dei Kinks: nulla di sconvolgente forse, eppure così godibile da farsi ascoltare più di una volta, come del resto l’intero Stubborn.