KEVIN DEAL (Raw Deal - Kevin Deal Band Live)
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  Recensione del  29/09/2005
    

Anche per Kevin Deal, texano doc, è venuta l'ora del disco dal vivo, dopo quattro album di studio, tutti tra il buono e l'ottimo. Deal è un songwriter atipico, che ha la passione per la musica ma anche una avviatissima attività imprenditoriale: possiede infatti un'azienda di costruzioni in pietra, specializzato in case personalizzate oldstyle e chiese (se vi ricordate, il suo secondo album si intitolava Honky Tonk And Churches), con circa una trentina di persone alle sue dipendenze! Ma è del lato musicale che ci interessa occuparci: abbiamo sempre seguito la carriera del nostro con vivo interesse, ed apprezzato i suoi album di vera Texas country music, pieni di pezzi vitali e strettamente imparentati col rock, oltre che di intense ballate in puro stile western.
Steve Earle e Joe Ely sono i suoi eroi, ma Kevin ha un suono ed una facilità di scrittura indubbiamente personali. Come in molti casi però, la differenza tra il suono prodotto tra le quattro mura dello studio di registrazione e quello live on stage è notevole: sul palco Deal suona infatti molto più rock, arrota le chitarre e carica il ritmo a più non posso, ben coadiuvato da una band composta di soli tre elementi (Freddie Lee Spears alle chitarre e steel, Steven Deal fratello di Kevin al basso, e Mark McCrocklin alla batteria), ma dal sound tosto e solido.
È un po' il discorso fatto, tanto per restare in Texas, per gente come Roger Creager, Jack Ingram o i fratelli Charlie e Bruce Robison: tutta gente molto più country in studio che sul palco, tutti musicisti che si propongono ai loro fans come trasformati. Rispetto ai colleghi sopracitati, Kevin Deal ha dalla sua una maggiore bravura nel songwriting, un songbook molto più articolato e vario, una bella voce espressiva (molto simile a quella di Steve Earle), ed una dose di feeling massiccia. Raw Deal è quindi un signor disco: più di settanta minuti di vero Texas country-rock, suonato a manetta, senza mollezze o tentennamenti di sorta, con in più una qualità di registrazione veramente superba. In più, come ciliegina sulla torta già saporita, Kevin regala ai fans due brani in studio, due ballate nuove di zecca prodotte da quel mago della consolle che è Lloyd Maines.
Il disco è aperto dalla tonica You Ain't Nobody, introdotta da una slide acustica, ma il ritmo è rock e la voce del leader limpidissima. Diesel di country ha solo la melodia, mentre il sound è rock al 100%, con le chitarre in prima fila: un brano alla Steve Earle fine anni ottanta. Boomtown smorza un po' i toni (il ritmo è in levare), ma già con Jump Off The Wagon la temperatura inizia a risalire, ed aumenta ulteriormente con Backslidin' Man, sorta di bluegrass elettrico ad alta velocità. La breve Cracked Up, più country delle precedenti, prelude ad una fluida Quicker Than The Eye, deliziosa western ballad figlia di Joe Ely, e ad una vitale cover di Mississippi Kid, brano poco noto dei Lynyrd Skynyrd, con una lunga ed applaudita introduzione per voce ed armonica ed un proseguimento dai densi umori rock blues. Versione sorprendente, che chiude la prima parte.
A questo punto ecco i due brani nuovi: la splendida Hard Times, altra ballata che profuma di pianure e confine, e la lenta e toccante I'Ve Got To Believe. Riprende la parte live con i restanti otto brani, che tengono alto il livello: ascoltate la solare Kiss On The Breeze, dal ritmo quasi caraibico, l'ariosa Things I'Ve Done For Love, dal chorus perfetto (una delle migliori del lotto), la maestosa Asleep At The Wheel. Il finale è in crescendo: Honky Tonks'n'Churches è puro Texas rock'n'roll, la cadenzata Hank You prepara il pubblico ai fuochi d'artificio finali, con la tostissima My Father's Redneck, ancora un gustoso country'n'roll, e la conclusiva Smoke, paludosa, sporca, dura e roccata, in cui non è estranea l'influenza di John Fogerty.