PAUL WESTERBERG (Mono/Stereo)
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  Recensione del  26/02/2004
    

Non è difficile immaginare cosa può essere successo nella vita e nella carriera di Paul Westerberg all'indomani di Suicaine Gratifaction. Essendo un personaggio vero e scomodo di natura, con un passato tutt'altro che edificante secondo gli standard del rock'n'roll business e con una genuinità che nessuno esperto di marketing saprà mai gestire, Paul Westerberg ha dovuto tornare sui suoi passi.
Quindi, caos totale e un vortice di voci: escono due dischi, torna Grandpa Boy, si riformano i Replacements (ci mancano tantissimo, ma risparmiateci le reunion brizzolate, almeno voi) e alla fine arriva Mono/Stereo, doppio album e grande prova di creatività di Paul Westerberg. Undici canzoni che rispettano alla perfezione la media di tre minuti e via, poco più di mezz'ora di due chitarre, basso e batteria: Mono, fedele al suo titolo, è volutamente grezzo, elettrico, scorticato. Eccitante, anche, come dev'essere il rock'n'roll. In due parole: Rolling Stones, roba pesante periodo Sticky Fingers e dintorni, con l'etica e l'estetica di Exile On Main Street stampati in testa.
Il riff di Brown Sugar pompa nelle vene di Anything But That, giusto per fare un esempio, e si può provare anche a nasconderlo con un assolo chitarristico arabeggiante (curioso, comunque), ma è difficile farlo sparire. Il gioco a scoprire quali lezioni abbia preso Paul Westerberg da Keith Richards può proseguire con Knock It Right Out, Eyes Likes Sparks (una canzone che avrebbe avuto un senso su Main Offender) e, più o meno, ogni singolo riff di Mono. Dove questo piccolo eroe e misconosciuto eroe del rock'n'roll si mostra ispirato (Between Love Et Like, Hight Time, le suggestive Silent Film Star e 2 Days 'Til Tomorrow) almeno quanto i migliori episodi di 14 Songs, di Eventually o del sottovalutatissimo Suicaine Gratifaction.
Riferimenti che diventano ancora più evidenti in Stereo, che appartiene al lato gentile e romantico di Paul Westerberg: dodici ballate registrate in casa, prove di songwriting di alta classe (a partire da Baby Learns To Crawl, semplicemente perfetta), con alcune bozze lasciate a metà e qualche momento di rilievo (No Place For You, We May Be The Ones). Anche in Stereo piace l'immediatezza, la genuinità, in certi casi l'intimità con cui Paul Westerberg si offre, forte di uno stile solidissimo che ha ispirato e continua ad ispirare dozzine di giovani songwriter.
Resta il dubbio sulla complessità del progetto perché con i tempi che corrono due dischi sono tanti anche per Tom Waits, figurarsi per Paul Westerberg. Per quanto coerenti, forti e pieni divelle canzoni siano Mono e Stereo resta il dubbio che se ne avesse fatto un solo album, delegando allo pseudonimo Grandpa Boy gli esperimenti, forse ne parleremmo come un capolavoro. 0 quasi, ma la logica non è mai stata nelle corde di Paul Westerberg e chi lo ama (o ha amato i Replacements) sa bene che è meglio così.