YAYHOOS (Fear not the Obvious)
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  Recensione del  31/01/2004
    

Quando ho avuto in mano questo disco ho subito fatto una domanda e una considerazione: la domanda è stata "Da dove arrivava questa band che si chiama quasi come un noto portale Internet?", mentre la considerazione è stata "Bé, se l'etichetta è la Bloodshot, il disco brutto non è!". Una volta letti i nomi dei quattro componenti, tutto mi si è chiarito: gli Yayhoos sono una sorta di supergruppo alternative country, in quanto è composto dai ben noti Dan Baird ed Eric "Roscoe" Ambel, rispettivamente ex Georgia Satellites e Del Lords (e Ambel è anche un richiesto produttore roots, quasi come Lloyd Maines), oltre a Terry Anderson, ex batterista dei Backsliders e Keith Christopher, bassista in proprio che ha però suonato con Billy Joe Shaver e Kenny Wayne Shepard.
La curiosità di sentire i quattro all'opera insieme è quindi cresciuta, e devo dire che non sono stato per niente deluso: anzi, il disco è un riuscito concentrato di southern rock, americana, country-punk e un pizzico di Stones. I dodici brani (tutti originali tranne uno) contano tutti su un esecuzione da manuale, rifts granitici di chitarra, sezione ritmica pulsante e voci in palla; non ci sono sessionmen, i quattro Yayhoos si sobbarcano tutto il lavoro, e lo portano a termine egregiamente.
Il rischio di certe collaborazioni estemporanee è proprio questo: a volte c'è la voglia di suonare ma mancano le canzoni, altre volte ; ci sono grandi brani, grandissimi musicisti che però suonano svogliatamente, mentre qui abbiamo sia i brani che la voglia di suonarli nel migliore dei modi. What are we waiting for apre il disco in maniera potentissima; roccioso riff di chitarra, ritmo acceso e Baird (voce solista in metà dei brani) che sviluppa una melodia di matrice piuttosto countreggiante.
Ma il brano è indiscutibilmente rock. Get right with Jesus è un lucido esempio di southern rock muscoloso, come potrebbero fare i Black Crowes: tutto, dalle chitarre alla batteria, è in formato macigno. Monkey with a gun è rollingstoniana al 100%, con i suoi riffs sanguigni che si rincorrono per tutti i tre minuti e mezzo della canzone; I can give you everything ha un piede nel southern ed uno nell'alternative country. È chiaro che i quattro sanno suonare (su questo non avevo dubbi), ma ciò che stupisce è il loro affiatamento, come se si esibissero insieme da vent'anni, oltre alla bontà delle composizioni.
Voglia di fare musica, per il puro piacere di farla. La stupenda Bottle and a bible è una ballata rurale, limpido omaggio a The Band: la voce di Baird ed i controcanti di Ambel sono chiaramente ispirati ai mitici duetti Levon Helm - Rick Danko, e persino la melodia sembra ricalcata su quella di When I paint my masterpiece. Splendida. For cryin out loud, unico brano con Christopher alla voce solista, è un bel rock tune, molto discorsivo e limpido, Oh! Chicago è un divertente rock'n'roll in omaggio alla città della Bloodshot; la dura ed attendista Wicked world non è male, ma un gradino sotto quelle che l'hanno preceduta.
Baby I love you offre uno stimolante contrasto tra la melodia tipica delle ballate fine anni '50 e la strumentazione, chiaramente targata 2001 ; la nervosa Hunt you clown e la possente Hankerin precedono il brano finale, una curiosa ripresa dell'hit mondiale degli Abba Dancing queen, con lo spirito rock degli Yayhoos ben insito nelle note del famoso brano pop della band svedese. Un disco sorprendente, ancor di più perché inatteso, che tiene alto il vessillo del rock, alla faccia di chi sostiene che sia morto. A questo punto, però, speriamo vivamente in un seguito di questo riuscito Fear not the obvious.