GRAHAM PARKER (Your Country)
Discografia border=parole del Pelle

     

  Recensione del  30/04/2004
    

Graham Parker ha iniziato a fare parlare di sé con l'eccellente Howlin' Wind, un album profondamente (van)morrisoniano. Correva l'anno 1976 e, da quel momento, l'occhialuto e spigoloso inglese è stato spesso compagno di ventura per noi vecchi Buscaderos. Ha avuto, come tutti, alti e bassi: ha registrato grandi dischi (Heat Treatment, Squeezing Out Sparks, Parkerilla, The Up Escalator, Mona Lisa Sister) ed altri meno validi. Poi, dopo averci gratificato ancora una volta del suo talento con l'ottimo Struck By Lightning, 1991, si è bloccato ed è andata via via spegnendosi.
Ha continuato a registrare: molti album dal vivo, alcuni da solo, qualche disco in studio, ma senza mai riuscire a raggiungere quei vertici che lo avevano reso giustamente famoso. Cult musician per eccellenza non si mai dato vinto e, già nel 2001, è tornato con un album di tutto rispetto, Deepcut to Nowhere. Ma nessuno era in grado dì attendersi un disco di questa qualità Fedele al comandamento che il country deriva dal blues, Parker ha registrato un album di musica country oriented ed è andato a pubblicarlo proprio presso l'etichetta di Alternative country per eccellenza, la Bloodshot di Chicago. Non si tratta di country classico, ma piuttosto di canzoni rock permeate da una vena country, un po' come i dischi di Brinsley Schwarz, Nick Lowe, John Hiatt, quando lasciano la città e vanno in campagna. Ironico, graffiante, sarcastico, appassionato, Parker entra nel genere e regala un disco di grande spessore, come non gli capitava da oltre un decennio. Inciso con una strumentazione scarna: Tom Freund al basso e Don Heffington alla batteria, si avvale della doppia voce di Lucinda Williams in un brano e di Ben Peeler e John Would alla lap steel in qualche canzone.
Il resto è tutto sulle sue spalle: voce, arrangiamenti, scrittura dei brani e produzione. Parker ha grinta e feeling da vendere. L'album si apre con Anything for a Laugh, una ballata a tempo di valzer texano, cantata con voce aperta e suonata in modo ondeggiante, tipico delle canzoni che provengono dal Lone Star State. The Rest is History viene introdotta da un'armonica dylaniana, ma è una canzone dal ritmo acceso che riporta il nostro al meglio della sua scrittura, sia dal punto di vista della musica che per quanto riguarda i testi. Cruel Lips ha retaggi nei profondi anni cinquanta, sembra uscita da un vinile di George Jones ed ha un ritornello molto orecchiabile che trasmette le sue origini rurali sin dal profondo. Una bella mano la da Lucinda Williams che accompagna la voce del leader in modo gradevole, accoppiandosi e non facendo mai la parte da solista. E la canzone, dopo solo un paio di ascolti, cresce molto sino a diventare una delle migliori del disco. Almost Thankgiving Day ha un inizio quasi springsteeniano.
È lenta, solida, coinvolgente. Parker canta in modo convinto e la ballata cresce nota dopo nota, con l'armonica che la sfiora ed un riff ricorrente di chitarra che entra nel profondo. Altra canzone che si eleva decisamente. La spiritosa Nation of Shopkeepers racconta della vita di un inglese in Usa, del fatto di adattarsi ad usi e costumi completamente diversi. Anche in questo caso il brano è rock e si avvicina molto, come la precedente, a certe composizioni di Parker degli anni settanta. Queen of Compromise è ancora più veloce, ma ha nelle sue radici il country più rurale, per il tempo ed il modo di cantare, anche se il suono rimane rock, vicino a certe cose di Steve Earle.
Things Never Said invece ha cadenza e sonorità country, è più lenta e coinvolge sin dall'inizio strumentale: il testo punge e la canzone ha una sua personalità. Parker è tornato a fare grande musica. E lo conferma con la superba rilettura, unica canzone non sua, di Sugaree di Jerry Garcia. Bella versione, lenta, studiata, suonata in punta di dita e cantata con convinzione. La ballata è già country oriented e Graham non fa altro che urbanizzarla leggermente, ma la materia è di prim'ordine, la voce c'è, ed il gioco è fatto. Tornado Alley parte in quarta, non ha particolari qualità ma è diretta e solida. Mentre Fairground, sempre introdotta da un bel giro d'armonica, cambia registro e ci mostra un autore in grande spolvero.
Chiude il disco la rilettura vigorosa di Crawling From The Wreckage che, nei lontani anni settanta, Parker aveva regalato a Dave Edmunds. Un solido disco rock venato di country, non un disco di country, ed un Graham Parker in forma smagliante, particolarmente ispirato.