ADAM CARROLL (Far Away Blues)
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  Recensione del  30/07/2005
    

Adam Carroll è uno a posto, texano, dylaniano fino al midollo, sempre con armonica & chitarra acustica sugli scudi è uno che mantiene le promesse, non si è mai arreso alle sirene dei riflettori è del poppettarismo di facile presa e percorre la propria strada del songwriting di qualità affidandosi semplicemente alle liriche delle sue canzoni e a una melodia scarna ed essenziale.
Lo zio Zimmy, John Prine, Woody Guthrie, Townes Van Zandt e Butch Hancock sono le sue muse ispirative. Noi l'abbiamo conosciuto anni fa (era il 1999) con South Of Town, uno splendido esordio che celebrava il suo bar-mitzvà e che torna spesso a girare sul nostro cd player; a rafforzare le ottime impressioni dopo un paio d'anni è tornato a farsi vivo con Lookin' Out The Screen Door, un album di buona qualità che ci ha confermato che non ci trovavamo dinnanzi a una meteora transitoria, ma che quello che avevamo di fronte era ed è un talentuoso e valente songwriter. Nell'estate del 2002 è arrivato il disco dal vivo intitolato semplicemente Live e ce lo proponeva, davanti all'amichevole pubblico di casa sua, presentare le sue canzoni in perfetta solitudine con chitarra & armonica; quindi, se i conti tornano, Far Away Blues è il suo quarto lavoro e ancora una volta in sala regia troviamo Lloyd Maines a lavorare di cesello. Maines partecipa anche come musicista suonando steel guitar, mandolino, electric & acoustic guitars, high string & slide guitars, dobro e percussioni; Glenn Fukunaga [una nostra vecchia conoscenza già al fianco di Joe Ely] si occupa del basso; Richard Bowden suona cello, violino e tromba mentre all'Hammond e tastiere troviamo Riley Osbourn e Adam Odor e al sax c'è Ray Davidson.
Da segnalare la presenza della graziosa Terry Hendrix ai cori. Alright, intro d'armonica e Martin & talkin' dylaniato ci riportano al primo Zimmerman, poi entra il pulsare del basso e la canzone prende una piega animata e brillante per rimarcare con arguzia la disillusione; con la splendida Rice Birds non possiamo esimerci di pensare ad apparentamenti con il miglior Townes, qui troviamo la stessa intensità poetica rugosa e la stessa scarna bellezza narrativa che ha scolpito molte delle sue songs. AFL-CIO è ariosa, ma sa graffiare e c'è un po' di Woody dietro l'angolo; Dream On è piacevolissima, incoraggiante e piena di speranze e positività, non so perché ma a me fa venire voglia di andarmi a riascoltare longevi e disinvolti vinili ormai polverosi di Jimmy Buffett. Far Away Blues è il brano che titola l'opera, c'è dentro un pizzico di John Prine, è arrangiata in modo stringato, ma superbo. Love Song For My Family sale piano piano, poi fanno capolino reminiscenze folk irish a dipingere onde e nuvole… Teardrops è stata scritta con Mark Jungers, un altro roots-songwriter da studiare a fondo, si tratta di una song altamente emotiva e supportata da piano e violino.
Low In Mountain ha il groove stimolante di chi non vuole essere consenziente e Picture Show ha qualche parentela con certe cose scattanti di Guy Clark, da segnalare il buon impegno del dobro e delle steel. Last Day Of Grace è stata scritta a quattro mani con Ray Wylie Hubbard che è presente anche come gradito guest vocal, trattasi di una penetrante ballad di spessore, un po' crepuscolare, dalla nervatura tradizionale e satura di turbamenti emotivi; la conclusiva Peace In Earth predica la tolleranza tra dottrine e genti diverse come libero dogma, ha il sapore di una nuova canzone antimilitarista e antirazzista (e solo Dio sa quanto ce ne sia sempre bisogno), dovrebbe essere scolpita nel dna di ogni essere vivente, scarna ed essenziale nell'arrangiamento eppure così ricca di vita e di valori… Conclusione finale: un disco dannatamente apprezzabile.