DAVID OLNEY (The Wheel)
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  Recensione del  31/03/2004
    

Devo confessare, ma questa è una mia pecca, che conoscevo solo superficialmente David Olney, ma l'ascolto di questo suo ultimo, The wheel, mi ha convinto ad approfondire al più presto le mie conoscenze. E ho scoperto che Olney, cantautore natio di Lincoln nel Rhode Island, ha alle sue spalle numerosi dischi, incisi con regolarità fin dagli anni settanta: molto stimato dai colleghi (Townes Van Zandt, uno che se ne intendeva, lo definì "uno dei migliori songwriters mai sentiti", mentre il Philadelphia Enquirer lo ha eletto "il Richard Thompson americano"), artista di culto, ha sempre inciso per il piacere di fare musica, senza mai cercare il successo facile, ma mantenendo una regolarità di rendimento che me lo fa paragonare a uno come Tony Joe White, un altro che non ha mai fatto un disco brutto ma non ha mai venduto un cavolo.
Olney è un cantautore vero, con gusto melodico e voce calda, che non disdegna però incursioni nel rock e nel country, mantenendo comunque un livello qualitativo elevato, grazie ad una serie di canzoni che molti, sono sicuro, farebbero carte false pur di avere nel proprio repertorio. Olney, come Van Zandt, non avrà mai successo, ma questo a lui (e a noi) non importa: The wheel è il lavoro di un artista vero, che racconta storie semplici e magari anche banali, ma con il cuore in mano e con una bella dose di poesia. Dopo una breve introduzione, il disco si apre con l'ottima Big Cadillac, un deciso rock-boogie dai sapori sudisti, dal bel ritmo e con un suggestivo duetto tra slide e violino: un avvio spiazzante per chi si aspettava il solito cantautore voce-chitarra sono sfigato-che sonno che ho.
La voce di David, vissuta, è perfetta per condurre il brano. Ancora meglio è Voices on the water, un country blues pieno di polvere e seccato dal sole, con un coro gospel che duetta con il leader. Ascoltate Chained and bound to the wheel: non è rock, non è blues, non è country, ma è un insieme di tutte queste cose, reso in maniera brillante. Now and forever è una deliziosa ballata acustica, vicina al genere di Van Zandt, ma anche di Tom Russell: voce calda e melodia ben costruita. God shaped hole è un altro brano di stampo tradizionale, ma cantato con voce sgraziata, quasi come se Tom Waits avesse curato l'arrangiamento.
La ballata Revolution è puro Townes, ed i brividi sulla schiena non si contano; la dolce e bucolica Stonewall precede l'intrigante Boss don't shoot no dice, ancora un brano un po' sgangherato che sembra reduce dal trattamento della ditta Tom Waits-Chuck E. Weiss. L'album, si chiude con The girl I love, altra perla elettroacustica, All the love in the world quasi un lento cheektocheek dalla suadente melodia, e con la breve Round, suggestivo congedo per sole voci (David controcanto femminile). David Olney è uno dei tanti tesori nascosti della nostra musica: non è mai troppo tardi per scoprirlo.