DAVID OLNEY (Through a Glass Darkly)
Discografia border=parole del Pelle

     

  Recensione del  31/01/2004
    

David Olney è uno dei piccoli segreti della musica americana: un cantautore straordinario, grande visionario raconteur per eccellenza, uno storyteller, cantastorie se preferite, naturalmente nel senso più nobile del termine, una sorta di Leonard Cohen del country, pard di Townes Van Zandt (al quale è dedicata la dolceamara The suicide kid e del quale viene ripresa la dolcissima Snowin' on Raton, in una versione stupenda) e John Prine (che appariva nell'album precedente di Olney, Real Lies, più «rockeggiante» di questo Through a glass darkly, personaggio affascinante anche nei tratti somatici, volto vissuto dai lineamenti regolari, capello grigio esibito con nonchalance ancora similitudini con Leonard Cohen, il mistero si infittisce!), grande conoscenza della storia e della cultura americana, ma non solo, nelle sue canzoni convivono Giuda e Barrymore, Leonardo da Vinci e Jesse James, Barabba e Dillinger, tutti visti attraverso un vetro scuro, quello che da il titolo a questa raccolta ed è tratto dalla Bibbia.
Per questo nuovo album David Olney ha voluto che le sonorità fossero vicine all'epoca alla quale sono ispirati la gran parte dei testi, il periodo che va dalla Prima Guerra Mondiale agli anni '30: quindi '30's string band, Country e una spruzzatina di blues. Niente paura però, il disco non è assolutamente una di quelle paludose ricreazioni di vecchie atmosfere, ma vive una propria vita grazie ai testi visionari di David Olney, che sono stati addirittura paragonati da certa critica americana a Shakespeare per la sua capacità di immedesimarsi nei personaggi che crea che raccontano le loro storie in prima persona: si va quindi dal Dillinger, brutale e sanguinario, lontano dall'immagine di moderno Robin Hood, a tempo di country con banjo, mandolino ed un violino che ricorda la Scarlet Rivera di Desire, alla storia di una prostituta francese nel 1917, straordinario quadro lirico e musicale che lo avvicina al Leonard Cohen più immaginifico e non è poco, vi assicuro) con un bellissimo arrangiamento con violini, viola, cello ed oboe a cura di Marianne Osiel, delizioso.
Ma David Olney non dimentica la provincia americana e disegna uno straordinario quadro, in Avery country, di perdizione e redenzione (forse): musicalmente è una delle perle del Cd, con lo stesso David Olney che suona chitarre acustiche, piano ed una serie di chitarre elettriche lancinanti che esplodono in un assolo liberatorio che dissolve la tensione crescente che pervade tutto il brano, bellissimo, una delle vette musicali della carriera di questo grande cantautore. JT's Escape è una divertente country song con armonica, washboard e violino e racconta la divertente storia della lotta tra lo Sceriffo in attesa di rielezione ed il ladro fuggitivo JT, con finale a sorpresa: sono padre e figlio. Little bit of poison è un amaro country blues dall'andatura incalzante, mentre The suicide kid, amara e cupa e Snowin' on Raton, costituiscono l'omaggio all'arte ed alla vita di Townes Van Zandt. C'mon through Carolina è una piacevole country song, mentre «Ice cold water» è un'altra minacciosa storia di un'omicida solitario, con due violini a duellare con l'elettrica di Olney per ricreare una atmosfera gotica. Racetrack blues, come dice il titolo è un blues primigenio che ci riporta agli anni '30 e agli ambienti delle scommesse sui cavalli, potente; The Colorado kid è ancora Leonard Cohen goes country con una straordinaria sezione di archi quasi orientaleggiante, un piano classicheggiante, ed ancora una straordinaria tensione narrativa, in questa storia di una ossessione di amore.
Ma David Olney è anche capace di regalare (firmata in coppia con Gwil Owen, autrice doc per Toni Price) la dolcissima That's all I need to know, cantata a due voci con Steve Runkle ed ancora ingentilita dai deliziosi suoni del violino e del mandolino entrambi nelle capaci mani di Deanie Richardson. Lily of the valley è un'altra country song, con David Olney che si sdoppia alla voce, e siamo a tredici, mancano tre brani alla fine, e si tratta di tre dei brani migliori. Lay down your kingdom, racconta l'incontro con Lady of good fortune e musicalmente è un altro straordinario quadro sonoro che non avrebbe sfigurato nel mitico disco di Norman Blake, Tut Taylor and friends di pre Buscaderiana memoria. Barabbas, con arpa e violino, rivede la storia attraverso gli occhi di Barabba, l'arte dello storyteller sublimata in un brano. Si finisce con Dogwoods, altro dolce brano caratterizzato da un inconsueto arrangiamento a base di arpa e corno inglese, ma non temete, e vale per tutto l'album, non è assolutamente palloso in fondo questi strumenti li usavano anche i Beatles, sia pure in un altro ambito sonoro. Un personaggio assolutamente da scoprire o riscoprire.