AIMEE MANN (Bachelor N° 2)
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  Recensione del  31/01/2004
    

Aimee Mann è assurta alle cronache discografiche per avere curato, lo scorso anno, la colonna sonora di Magnolia, il secondo film del geniale Paul Thomas Anderson (il primo era Boogie Nights). Ma la Mann ha una storia abbastanza lunga alle spalle. È stata la leader del gruppo post-new wave Til Tuesday, con cui ha registrato tre albums più una antologia.
Poi ha iniziato la sua carriera come solista. Cantautrice moderna, personale, la Mann ha uno stile che la può avvicinare alla musica di contemporanei come Elvis Costello, Ron Sexsmith, Amy Rigby, Suzanne Vega, Natalie Merchant, Crowded House, XTC, Squeeze. Le sue radici vanno nel pop rock raffinato dei Badfinger, ma anche in alcuni dei musicisti che abbiamo citato come suoi contemporanei.
La musica di Aimee è puro pop con liriche intense, piene di humor ma anche di delusione, quasi prive di ideali, ma con un contenuto morale molto alto: e la musica, di conseguenza, è un rock pop melodico, che ha le sue radici, oltre che nei musicisti sopracitati, anche in certe sonorità californiane anni settanta (Driving Sideways).
Questo disco è il terzo come solista, il più risucito, ed arriva dopo il rilancio internazionale avvenuto con la soundtrack di Magnolia e dopo che la canzone Save Me ha ricevuto una nomination per gli Oscar. Aimee ha esordito nel '93 con l'acclamato Whatever, a cui è seguito ('95) il meno riuscito I'm With Stupid. Dopo il successo di Magnolia la Universal ha pubblicato una antologia, Ultimate Collection, che contiene anche brani del Til Tuesday e qualche rarità.
Ma quello che ci interessa è una breve analisi di Bachelor n° 2, a tutti gli effetti il terzo disco della cantautrice. Un disco adulto e completo, pieno di canzoni intense, con liriche pungenti e profonde, arrangiato in modo sobrio. Partecipano all'incisione il marito Michael Penn, Grant Lee Phillips, Ric Menck, Benmont Tench, Buddy Judge, Jon Brion, Juliana Hatfield, Brendan O'Brian, Michael Lockwood ed altri musicisti meno conosciuti. L'album si gusta in toto, va sentito e risentito e cresce di ascolto in ascolto.
La Mann ha il senso della ballata, sa scrivere ed è dotata di una voce ben modulata, anche se non ha particolari inflessioni. Gli arrangiamenti non sono mai ridondanti, anche se non mancano (ma in modo lieve) archi e fiati: gli impasti vocali sono molto curati e le melodie fuoriescono limpide. Un disco di moderno cantautorato che ci permette di scoprire, o riscoprire (per chi già la conosceva), una musicista ignorata in Italia, ma abbastanza popolare in Usa, specialmente dopo il successo di Magnolia.
Nei cinquanta minuti dell'album, scorrono piacevolmente canzoni quali la melodica Susan, le californiane Driving Sideways e It Takes All Kinds, il rock moderato ma assolutamente intrigante di How Am I Different, le ballate interiori Nothing is Good Enough e Red Vines. Senza dimenticare il lento The Fall of the World's Own Optimist, la pianistica Satellite e le tristi Deathly e Ghost World. Una cantautrice completa.