Già con l'esordio di un anno fa,
Banjos & Sunshine, la band del Maryland si era fatta notare per il suono fresco e coinvolgente. Un cocktail di rock e radici diretto e pulsante, che evidenziava la bella voce di
Matt Felch e l'uso disteso e potente delle due chitarre (oltre a Felch,
Andrew Grimm, che, a sua volta, canta da solista in qualche brano). La band si è conquistata una piccola fetta di fama locale e giudizi positivi dalla stampa di mezzo mondo, Busca compreso.
Mojo ha scritto di loro: "Ricordano i Jayhawks più grintosi", mentre il
Washington Post ha scritto a sua volta "Una delle migliori band di roots rock", e lo specializzato
MoMzine li ha bollati con un entusiastico "Americana, alternative country, roots rock, chiamatelo come volete, ma è dannatamente bello". Insomma il quartetto si è conquistato, con un solo album, apprezzamenti non solo a livello nazionale, ma anche qui da noi, in Europa. La band è formata, oltre che da Felch e da Grimm, da
Niall Hood, bassista, e da
Andrew Wright, batterista. In questo secondo sforzo sono aiutati da amici e conoscenti, gente non nota, ma che sa suonare, gente che risponde ai nomi di Mark McKay, Dave Johnson, Rich O'Meara, Eric Corbin, Bruce Falkinburg, John Teague, Bryan Seith, Etrin McMullen. E
Good Ethel conferma tutto quanto di buono
Banjos & Sunshine aveva evidenziato. Chitarre in gran spolvero, sonorità roots, coinvolgimento di melodie country, canzoni dirette, suonate e cantate in modo fresco e creativo.
Insomma i
Sixty Acres sono una boccata d'aria fresca, una versione più light degli Uncle Tupelo, un gruppo che sa scrivere canzoni e che suona con una vitalità notevole. Non ci sono momenti di stanca, come d'altronde nel disco precedente ed ogni composizione (l'album dura quasi 50 minuti), è piacevole.
15 Drummers inizia con un ritmo acceso, ma sta tra una folk ballad urbana ed una canzone d'autore, ci sono dei piccoli riff country e degli stacchi decisamente roccati che danno al brano freschezza, che poi è un pò il marchio di fabbrica del quartetto.
Understood è pacata, interiore, lascia andare le chitarre e si diversifica di parecchio dal brano d'apertura: è una canzone molto più riflessiva, che evidenzia la bravura nel comporre di Felch e la buona propensione vocale. Poi la canzone si apre e le chitarre si distendono.
Sweet Adeline è una melodia di stampo classico: intro Rem-miano, voce distesa, chitarre folk rock. Anche
Saint Rose appartiene allo stesso filone, ma è più elettrica: le chitarre viaggiano alla maniera dei vecchi Jayhawks, la voce è però più rurale.
Tulsa è un brano country veloce e molto ritmato: la chitarra fa il verso al violino e Felch canta alla maniera di Johnny Cash, senza aver però quella tonalità profonda.
Middle of Nowhere è riflessiva, si distende su una tappeto chitarristico e lascia fluire la voce, stavolta con un alone malinconico.
Tornado rallenta il ritmo e propone una composizione calda e profonda, cantata con voce intensa: l'accompagnamento è costruito ad arte attorno alla voce, con un vago sapore western di fondo, mentre la canzone sviluppa una tematica molto riflessiva. Tra le migliori dell'album., ha anche un bel finale chitarristico.
Red Flame è più aperta e diretta: una chitarra limpida traccia il motivo poi la canzone, un folk rock molto pulito, si apre e lascia uscire una melodia decisa.
Rain è un brano rock diretto, ma abbastanza qualunque. Meglio la ballata, con una bella armonica a tracciarne la linea melodica,
Wrong face dove Grimm canta in maniera distesa; doppiato da Felch
The Sun è un classico rock chitarristico, sulla linea di band quali Pawtuckets, Riverbluff Clan, Reckless Kelly e Cropduster. Chiudono il disco la decisa
Too Wrong e la country-eggiante e quasi western,
Not Tonight. Una band che suona ad ampio spettro e che propone una musica fresca e creativa.