ERIC BLAKELY (Still Life at Full Speed)
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  Recensione del  30/06/2004
    

Con la pubblicazione di Still Life At Full Speed, Eric Blakely celebra idealmente un periodo di importante transizione della sua carriera. Per bocca dello stesso autore, le canzoni del suo quinto lavoro di studio, contando anche la raccolta The Payne Anthology, sono lo specchio dì una crescita personale, una maturità che si è rivelata al giro di boa dei quarant'anni e che si traduce in appunti, emozioni, racconti on the road. Blakely è uno dei mille songwriter che animano il sottobosco di Austin, città in cui si è trasferito sul finire degli anni ottanta dopo le precedenti esperienze in California (è originario di Berkeley).
Dagli esordi con le prime rock'n'roll band è passato ad una visione più cantautorale della sua musica, scelta grazie alla quale ha già ottenuto ottimi riscontri sulla stampa locale, guadagnandosi la stima di qualche illustre collega, collaborando tra gli altri con Marcia Ball, Jimmie Dale Gilmore e Lisa Mednick. Tredici brani che non fanno certamente gridare al miracolo, soprattutto a causa di una voce un po' monocorde, che spesso non è in grado di fornire la spinta giusta agli episodi più elettrici, e nonostante tutto una lodevole dimostrazione di versatilità.
Giostrandosi tra suggestioni country, folk e blues, Blakely mantiene alta l'attenzione soprattutto nelle ballate, malinconiche, un po' assonnate, mai troppo appariscenti, che si rivelano come il piatto forte del suo songwriting. It's Ok to Be True, ad esempio, oppure la stradaiola Been a Long Road, che aprono il disco avvolte nell'aria familiare dei grandi spazi americani, e infine le delicate Since I Found You e Something Into Nothing, entrambe interpretate in duetto con Betty Elders. In The Ballad of Lester and Mary il twangin' delle chitarre (tutte nelle mani dello stesso Eric) si fa più accentuato, avvicinandolo ad altri giovani protagonisti del country-rock made in Austin, ma è un momento in definitiva isolato, perché le preferenze dell'autore si muovono nella direzione di ballate più discorsive (la lunga Hangin Tree; It's Time to Go).
L'altra faccia della sua scrittura riesce in parte a bilanciare questa introspezione, seppure non ottenga gli stessi risultati. A volte sbilanciato verso un blues-rock di maniera (quello leggermente swingato della title-track), altre semplicemente troppo insipido (I'll Be Yours) e scolastico (la bonus track The Down Home Duck Hill Delta Miss Blues meriterebbe ben altra interpretazione), Blakely prende finalmente le giuste misure con il coinvolgente swamp-rock di Kensington (con annessa citazione finale ai Creedence di John Fogerty) e l'ironica I Don't Play the Blues. Melodico ed elettrico al tempo stesso, sensibile alle radici ma mai troppo sbilanciato verso il country-rock di stretta osservanza texana, Still Life At Full Speed riflette il carattere di un buon artigiano della canzone.