ROBERT EARL KEEN (What I Really Mean)
Discografia border=parole del Pelle

          

  Recensione del  30/07/2005
    

Nuovo disco per il nostro beniamino texano Robert Earl Keen, che approda ad una nuova etichetta, la Koch Rds. di Nashville, la quinta della carriera, se si esclude la New West che gli ha appena pubblicato la bella registrazione Live from Austin risalente a quattro anni or sono. Poiché la sua vena compositiva di songwriter di qualità, con particolare attitudine al ritratto di personaggi della vita di ogni giorno che sembrano rasentare la leggenda, continua a rimanere una sua prerogativa, il suo marchio di fabbrica, anche oggi possiamo restare soddisfatti di fronte alla sua prova.
Se poi aggiungiamo che non notiamo la presenza di alcuno di quei brani un po' pretenziosi e invadenti, al di fuori del suo tipico stile, che Robert si era abituato ad inserire nelle sue ultime fatiche, abbiano ragione di cantare ulteriormente vittoria. What I Really Mean non sarà il migliore album della sua discografia, il perché è presto detto, mancano capolavori del calibro di The Road Goes On Forever, Dreadful Selfish Crime, Merry Christmas To The Family, I'm Going To Town e così via, anche se non mancano alcuni tentativi di awicinarvisi, ma è sicuramente tra i più gradevoli e apprezzabili.
Il contemporary Texas country che sprigionano le sue note è una garanzia di condivisione e piacere. Ancora prodotto come Farm Fresh Onions dal suo chitarrista Rich Brotherton e realizzato col supporto della sua affiatatissima band comprendente Bill Whitbeck al basso, Tom Van Shaik alla batteria, Marty Muse alla steel guitar e al dobro, e con l'aiuto dell'ex Bad Liver Danny Barnes al banjo, raccoglie dieci brani, tutti originali meno uno. For Love è una sua classica love song, ispirata e sciolta, per quanto cruda e tragica, dal gradevole refrain e il fine lavoro di chitarra elettrica.
Mr. Wolf And Mamabear è il suo sforzo principale verso la creazione di un testo teso a restare nella memoria dei suoi appassionati; siamo di fronte infatti ad una sua tipica story song trascinante e intrigante, metafora della vita di una tranquilla cittadina sconvolta da alcuni furti e razzie, dove tutti gli abitanti sono paragonati ad un animale per aspetto e carattere.
What I Really Mean, la title track che mette in luce banjo e sassofono, sembrerebbe avere le caratteristiche di una road song, ma chi sogna di non rimanere solo il martedì grasso per le strade di New Orleans o lungo la Beal Street di Memphis, non è il camionista stanco e malinconico che siamo abituati a compassionare in testi del genere, può tranquillamente essere ciascuno di noi che vorrebbe stare ovunque possibile con la persona di cui è innamorato/a. The Great Hank è un surreale ritratto del grande Hank Williams, cantato lentamente con impareggiabile supporto di steel guitar e Rich e Bill che fanno il verso alle Jordanaires. The Wild Ones è una scorrevole e spumeggiale canzone non poco carica di ritmo e spinta, che risulta assai gradevole nonostante forse certa eccessiva orecchiabilità del suo ritornello.
Broken End Of Love, è un brano solare, seducente, trascinante, con una bella melodia e assolo di banjo e chitarra elettrica, per quanto il suo protagonista dovrebbe essere tutt'altro che felice, essendo il suo amore tristemente finito. The Dark Side Of This World sembra il suo opposto invece, scorre lento e pesante con la steel in prima linea, proprio come una disperata country song senza possibilità di appello.
A Border Tragedy, ispirata forse da un pezzo come Gringo Honeymoon, è una border song molto particolare: aperta da un invitante spunto di banjo diventa la mexican ballad The Virgin Of Cuidad Acuna che propone immagini di giovani che bevono e si divertono in un night club, di una ragazza che sconvolge per la sua bellezza e poi di una sepoltura di un giovane colpevole; la sua chiusura è affidata alle note del ritornello del famoso traditional The Street of Laredo, cantato per l'occasione dal grande Ray Price con mariachi e una tromba di supporto che si esprimono in chiave autoctona.
Ride è un motivo bluesy, composto da Robert con Bill Whitbeck dove la national guitar di Rich e il violino di Eamon Mcloughlin si lanciano in movenze jazzy. L'unica cover registrata è la bella bluegrass gospel ballad Long Chain di Jimmy Driftwood, che Robert ha ripreso da un disco di Tim 0' Brien, colpito dalla bellezza delle sue liriche. Si tratta di una spettrale visione di un peccatore, in catene per un crimine che neppure si ricorda, alimentato e saziato da chi lo incontra, che può contare su di un prezioso lavoro di banjo e una solida parte corale.