"Canzoni di poca importanza", almeno che qualcuno non voglia restituire a
Graham Parker quanto la storia del rock'n'roll non gli ha mai attribuito, ovvero sia un ruolo tra i più caustici e intelligenti songwriters apparsi sulla scena negli ultimi trent'anni. Con la solita pungente autoironia e la consapevolezza che il treno per il successo gli è sfuggito sotto gli occhi ormai da parecchio tempo, Parker ritorna al rock'n'roll nudo e crudo e lo fa con un piccolo combo di affiatati e sconosciuti compagni.
I Figgs (già al suo fianco nel live
The Last Rock and Roll Tour) non saranno i Rumors, questo è vero, ma nemmeno
Songs of No Consequence ha la pretesa di essere un nuovo
Howlin' Wind o
Squeezing Out Sparks: semplicemente un disco di
Graham Parker nel 2005, infarcito di grandi chitarre, ritornelli che ti si appiccicano addosso ed una voce che sa ancora graffiare. Non si spiegherebbero altrimenti titoli come
Vanity Press, Suck'n'Blow, There's Nothing on The Radio e via di questo passo.
A brevissima distanza dalla parentesi riflessiva e orientata alle radici di
Your Country, peraltro commevente, il rocker "britamerican", come ama definirsi egli stesso, riprende la via dello storico pub rock, di un rhythm'n'blues imbastardito dalle chitarre di Mike Gent e dalle tastiere di Scott Bricklin, senza tralasciare le amate soluzioni reggea (
Vanity Press, Evil) che da sempre vivacizzano il songbook di Parker. Pete Donelly, bassista dei Figgs e co-produttore del disco, ha lasciato che la "sporcizia" venisse a galla, in nove giorni di registrazione guidati da un vero e proprio entusiasmo giovanile.
Introduce
Vanity Press e lo senti l'odore di questo entusiasmo: la canzone potrebbe appartenere ad uno qualsiasi degli album storici di Parker, come d'altronde
Chloroform, rutilante ballata che avrebbe fatto la sua figura su
Mona Lisa's Sister. Il rock'n'roll recita da protagonista in questo giro:
Bad Chardonnay regala riff a profusione ed un'aria stracciona alla Stones;
Suck'n'Blow segue di una lunghezza;
There's Nothing on the Radio scalpita con un ritmo nervoso;
Go Little Jimmy vira al blues con l'armonica dell'ospite G Love;
Local Boys rispolvera un clima da ruggenti anni cinquanta.
Sul versante ballate
Dislocated Life mostra uno dei testi migliori della raccolta, insieme alla disullusa
Did Everybody Just get Old? ("
Those rockers with dirty pictures in their lockers/ now have 'em on their compurer screens"), mentre
Ambivalent conserva i tratti della classica ballata alla Parker, con quell'immancabile brivido soul nella voce. Non è tutto oro colato forse, ma non ci aspettiamo altro da
Graham Parker se non che continui a scrivere con questa sana schiettezza. Tutto questo, beninteso, avendo fatto finta di non vedere l'orribile grafica che domina copertina e libretto…si sa, qui si bada alla sostanza.