MIKE RYAN (Six Feet Over)
Discografia border=parole del Pelle

  

  Recensione del  31/01/2004
    

Non è un disco nuovissimo, è stato edito alla fine del '98, ma c'è solo da rimpiangere il fatto di non averlo scoperto prima. Rock, heartland rock, sullo stile di John Mellencamp, con un occhio verso la musica delle radici ed un altro, di riguardo, nei confronti del rock da strada che abbiamo amato moltissimo nel corso della precedente decade. Dischi come questo non escono più, quindi quando ce ne capita uno sotto tiro non ci facciamo certamente scappare l'occasione. Ryan è un rocker nato. Mike, oltre a cantare, suona la chitarra elettrica ed acustica e l'armonica, il suo partner è Scott Mathews, che, oltre a produrre, suona batteria, basso, tastiere ed anche una seconda chitarra. Oltre ai due, che hanno sulle spalle buona parte del disco, c'è il sax potente di Dennis Landeen, il basso aggiunto di Jack Gallup ed una seconda batteria, nelle mani del fratello di Mike, John Ryan.
Malgrado sia un'esordio, Six Feet Over è un disco maturo. Il suono è pieno, potente e corposo, il resto lo fanno le canzoni. Dieci canzoni, quaranta minuti di musica. Inizio possente con la ballatona elettrica, figlia del Boss e di Johnny il coguaro, Soul Searchin. Andamento classico, tempo incalzante, una bella voce spiegata, un sax alla Clemons, il tutto incorniciato da una ritmica intensa. Un inizio che fa ben sperare: la canzone è di quelle che catturano al primo colpo, bel motivo di fondo e suono che non ammette repliche.
Boneshakin Love sembra uscita da un vecchio album di Mellencamp: il motivo iniziale, l'andamento tra rock e radici, la melodia gradevole. Il suono è sempre elettrico, ma non duro, è pieno, con basso e batteria ben inseriti, la voce sempre in cima alla melodia e la chitarra acustica che fa da controcanto. Una canzone, come la prima, che colpisce subito. We've Gone Mad inizia dura, con l'armonica che si affianca alla chitarra, poi la ballata si distende, rimane elettrica, ma lascia fluire le chitarre sopra una ritmica presente, mentre Mike canta con la solita voce espressiva.
Anche in questo caso il ritornello, We've Gone mad baby, è notevole. Il ragazzo arriva da una scena ricca, quella di Minneapolis, ed i risultati sono qui, basta ascoltarli. The Biggest Fool of All è una composizione acustica, almeno nella parte iniziale, abbellita da una melodia ad ampio respiro che ha delle forti connotazioni roots : poi entra una steel ed il brano si fa più corposo. You and Me and The Sun ha un intro vocale pieno di nostalgia, con la canzone si prepara a lasciare spazio al resto degli strumenti. Ballata fluida di sapore roots, è molto piacevole e scorre via in modo cristallino.
Walking in my Footsteps ha un intro bluesato per voce e slide, poi, ancora una volta, la canzone si apre e Ryan ci regala una di quelle ballate spesse e profonde che solo un musicista vero è in grado di scrivere. Ascoltate il ritornello, che arriva dopo un minuto circa, e vi renderete conto della bravura del musicista. Era un pò che non sentivamo del sano rock, legato alle radici, ma di estrazione urbana e non rurale e Ryan è un degno successore, oltre che dei sopra citati maestri, di gente come Steve Earle, Jack Ingram, Todd Snider, John Hiatt, Martin Zellar e Jason Reed. Maybe Memphis è ancora rock: intro classico, organo sul fondo, voce arrocchita ed una melodia ruspante.
Lo stesso si può dire della bella We Should he Friends, canzone nostalgica, che parla di una storia d'amore andata a finire male, e che coniuga molto semplicemente lo stile di Ryan. Il disco si chiude con altre due canzoni valide: la country oriented Im' The One You're Looking For, elettroacustica, e la notevole Down By The Station.