Dopo una vita passata a farsi produrre da
Pete Anderson,
Dwight Yoakam volta pagina e va in sala a produrre sé stesso. È la prima volta ma, ascoltando il disco, sembra che nulla sia cambiato. Dwight anzi ha un tocco più country rispetto ad Anderson, ed il disco risulta sempre a buon livello. Il nuovo album contiene dodici brani, tutti composti da Yoakam, che mettono in risalto la qualità di scrittura del nostro: Dwight riesce a mischiare la lussuria del rock con il lamento del country.
Un cocktail formidabile che gli permette di scrivere canzoni degne di Lefty Frizzel o Buck Owens, di cantarle nella maniera più classica e di suonarle in modo moderno. Per questo album, che è stato registrato nella maniera più rilassata e soddisfacente possibile (sono parole dello stesso Yoakam) il nostro si è valso dei servizi di rodati session men come
Keith Gattis, chitarra,
Skip Edwards, tastiere e steel guitar,
Taras Prodaniuk, basso (ora nella band di Lucinda Williams),
Mitch Marine, batteria e della leggendaria per cussionista della Motown Bobbye Hall, già protagonista di mille e più sessions. Poi c'è la chitarra di Gerry
McGee, leader del gruppo strumentale The Ventures, che battaglia con Dwight (che suona l'acustica) nella ballata strappalacrime
Just Passing Time. Per chiudere il cerchio ci sono poi le voci di
David Roe, Jonathan Clark e Timothy B. Schmitt.
Rispetto ai dischi che lo hanno preceduto,
Blame The Vain ha dalla sua un suono più rigoroso. Un suono country classico, strutturato come quello dei dischi di Buck Owens, anche se le chitarre sono decisamente più attuali. Basta sentire l'heartbreakin' ballad
Lucky That Way, che avremmo potuto ascoltare su un disco di Lefty, per capire che ci troviamo di fronte ad un album rigorosamente country.
Blame The Vain, la canzone, si apre con il chitarrone di Gattis che fa le veci di un Duane Eddy ringiovanito: la solita voce, un suono avvolgente, una melodia che entra nel profondo.
Siamo già in Texas, dopo solo qualche nota. Eh, sì, perché Dwight è nato in Kentucky, è cresciuto in Ohio ed è diventato grande in California: lui con Nashville non ha mai avuto a che fare ed il Texas è la sua seconda casa. Particolarmente ispirato, con la turgida
Lucky That Way firma il disco con una delle sue composizioni più belle di sempre: la classica ballata spezzacuori, cantata con voce sofferente, suonata distillando una nota dopo l'altra. Le percussioni di Bobby Hall e la chitarra di Gattis prendono per mano
Intentional Heartache e la portano dritta nel nostro cuore.
Una country song dal ritmo incalzante che nasce in un periodo lontano.
Does it Show è lenta, fluida: entra sottopelle, usa la voce in modo toccante, e non ci lascia più. Gattis suona come Hank Garland e Skip Edwards mette le dita sulla steel guitar.
Three Good Reasons è una fast country song: niente di trascendentale, ma il feeling c'è, e in dose massiccia.
Just Passin Time è pura poesia in chiave country: una grande canzone, pregna di malinconia nostalgica. Giocata sulla voce del leader a cui si affiancano brevemente quelle di Schmitt e Roe, viene impreziosita dalla chitarra di McGee e dalla steel di Edwards.
Notare l'assolo centrale delle due chitarre: acustica quella di Yoakam, elettrica quella di McGee.
I'll Pretend è pure country: dal ritmo veloce, al suono ostinatamente tradizionale, alla voce modulata in modo perfetto.
She'll Remember è quella che mi piace meno: ha un inzio davvero brutto (che il nostro dice essere ispirato dai dischi dei Moody Blues e di EL&P) anche se poi diventa un brano country piacevole.
Poco male:
I Wanna Love Again ci riporta in Texas, la steel guaisce e la chitarra di Gattis detta le coordinate, al resto ci pensa la voce del nostro.
When I First Came Here inizia come un brano di Elvis Presley e poi diventa una solida country ballad, ma Gattis fa sempre il verso a Suspicious Minds: poi entra Edwards con il pianoforte e la canzone cambia registro e cresce in maniera esponenziale.
Watch Out è nella norma mentre la conclusiva
The Last Heart in Line invece è una ballata molto intensa. Un'altra canzone spezzacuori a cui viene aggiunta una sezione d'archi che non sta affatto male e che da una suggestione maggior alla composizione.
Country puro, senza additivi, come si usava molti anni fa.