MICHAEL McDERMOTT (Beneath the Ashes)
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  Recensione del  11/05/2005
    

In seguito a un numero incalcolabile di ascolti del precedente Ashes mi era già venuta la voglia di scriverlo, ma dopo aver sfiancato anche i microsolchi digitali di questo Beneath The Ashes (che delle tematiche e dei suoni dell'album di un anno fa costituisce una sorta di approfondimento ed estensione) non posso davvero più farne a meno: il chicagoano Michael McDermott è senza dubbio uno dei migliori rockwriters della sua generazione, cioè quella affacciatasi sulle scene all'alba degli anni '90, e di riflesso uno dei pochi, pochissimi nomi sulle cui nuove uscite discografiche vale la pena di puntare ormai a occhi chiusi.
Nel corso di una carriera ancora non ricchissima di tappe ha avuto sì dei comprensibili cali di tensione, ma ormai il baricentro delle sue composizioni s'è piantato in modo ben saldo su di una scrittura sfavillante che, fatto tesoro della lezione di patri putativi dello spessore di Bob Dylan e Van Morrison, nonché della capacità d'introspezione offerta al mondo dagli esponenti della cosiddetta "me-generation", ha saputo assimilare la raucedine stradaiola di Bruce Springsteen alla luce dello slancio e dell'impatto sonoro degli U2 della fase di mezzo. Beneath The Ashes, in quanto raccolta di materiale in precedenza accantonato oppure soltanto abbozzato, non possiede com'è ovvio la stessa, fulminante compattezza di Ashes (disco peraltro molto unitario anche a livello concettuale), eppure contiene troppe canzoni splendide per non giudicarlo con la massima generosità e il massimo entusiasmo possibile.
I musicisti sono gli stessi del disco gemello, il produttore pure (l'ottimo Joe Hardy), e altrettanto inalterata è la carica rock capace di trascendere in ballate visionarie e maestose come in serrate esplosioni di artiglieria epica. Alla prima categoria, per esempio, appartengono di diritto una Ridin' The Spare in odor di Clash quanto la devastante Puzzle ("Hey let's go talk to Jesus / Do you think he even gives a shit?"), brano di intensità lirica e musicale a dir poco sconvolgente, mentre alla seconda vanno ascritte la cadenzata Right Here With You o quella The Silent Will Soon Be Singing che tanto rammenta il Dylan zingaresco di Desire.
Ci sono poi una stupenda versione per archi di Around The World, come Can't Sleep Tonight (oggi interpretata alla chitarra acustica invece che al pianoforte) estrapolata da Ashes, una marziale rilettura del classico natalizio Little Drummer Boy, il trascinante battito roots dell'iniziale Feel A Little Further, la sferzante cavalcata urbana di Upside Down, una Belong dalle inaspettate coloriture pop e il capolavoro assoluto di What You Think, You Become, perfetta nella sua brevità, davvero una bella dimostrazione di come si possano far urlare le chitarre senza per questo seppellire un tessuto melodico di rara efficacia. Essendo pensato per i fans di più stretta osservanza, Beneath The Ashes è reperibile solo attraverso il sito dell'artista, ma a conti fatti mi sembra una limitazione di poco conto: se vi sta a cuore il rock'n'roll, una sbirciatina è d'obbligo.