JOHN PRINE (Fair & Square)
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  Recensione del  13/05/2005
    

Non pensavo che, dopo nove anni senza fare un disco con canzoni nuove, Prine sfornasse un altro capolavoro. Non lo pensavo proprio. Fair & Square è pari al suo splendido esordio d'inizio anni settanta, John Prine. Prine è un autore vero e questo disco conferma tutto il suo valore. Leggendo la lista delle persone coinvolte sembra di vedere il cast di un film di John Ford, in cui scorrevano sempre i medesimi nomi, film dopo film, sia per gli attori di contorno (i caratteristi) che per il personale specializzato (sceneggiatore, fotografo, musicista etc).
Prine non va fuori dal seminato ma chiama a sé amici di lunga data come Pat McLaughlin, Keith Sykes, Roger Cook e Donnie Fritts per comporre parte del materiale. E lo stesso fa per i musicisti, dove usa Jason Wilber, Phil Parlapiano, Dave Jacques, Paul Griffith, che sono con lui da vari anni. Pochi gli ospiti: Mandy Smith, Alison Krauss, Jerry Douglas. Fair & Square è farina del suo sacco. Un disco in purezza, un'ora di musica sublime da parte di uno degli ultimi grandi, uno di quei musicisti che non hanno mai mollato e che, disco dopo disco, hanno costruito la propria leggenda. Ma, a monte di ogni giudizio critico, Prine con Fair & Square firma il suo ennesimo capolavoro.
Un disco in cui raziocinio e poesia, equilibrio e genialità vanno di pari passo. Ogni cosa funziona alla perfezione, dal suono maturo e profondo, alle canzoni stesse: canzoni come poesie, canzoni che riflettono la vita rurale nella provincia americana, canzoni che hanno nei propri cromosomi i germi di Woody Guthrie, Bob Dylan, della Carter Family, di Johnny Cash. Prine non ha certo bisogno di presentazioni su queste pagine, ma un disco di tale portata non lo aveva mai fatto, dopo il suo esordio, ed è logico che chiuda il cerchio a questo punto della sua straordinaria carriera.
Ha scelto la vita di artista, non si è lasciato abbindolare dalle false promesse dello show biz e, quando all'inizio degli anni ottanta si è staccato dalle majors per autodistribuirsi, ha mostrato di avere la vista lunga anche dal punto di vista degli affari. Fair and Square dura più di un'ora e non c'è una nota da buttare. Tra ballate velate di radici, echi country, reminiscenze folk, ricordi di gioventù, il disco scorre in un baleno e ci riporta indietro di trenta e più anni, quando un giovane dell'lllinois ci ammaliava con la sua voce dylaniana e le sue ballate disilluse. Oggi quel giovane ha i capelli ingrigiti, ma ha ancora voglia di fare musica, ha ancora il sorriso sulle labbra, è più vivo che mai.
Fair and Square parte con la country ballad Glory of True Love, sfiorata dalla fisa di Parlapiano e ritmata in modo agile, con il mandolino di Pat McLaughlin che si pone a fianco della voce. Una voce molto caratterizzata che affascina sempre: Crazy as a Loon, dove la fisa la fa ancora da padrone ma con il piano che la affianca (Parlapiano si raddoppia), è una di quelle canzoni che hanno il suono di Prine, la sua malinconia, la sua intensa e profonda bellezza. Long Monday sembra una composizione di stampo tradizionale: intro acustico, melodia che sembra venire dal passato, una chitarra spoglia dietro alla voce. Ma il fascino della ballata è profondo e, quando si apre ad altri strumenti, entra di botto tra le nostre preferite. Taking a Walk viene introdotta da una fluida steel guitar (Dan Dugmore), poi la band si affianca in modo docile e la canzone prosegue tra country e musica d'autore. Prine sa dosare emozioni, sentimenti e melodie ed il suo patchwork è inimitabile. Some Humans Ain't Human predilige il suono acustico e distilla note di assoluta bellezza.
My Darlin' Hometown invece torna verso le tradizioni unendo antico e moderno in una canzone figlia di Woody e di un periodo che pochi sono in grado di rievocare: non per nulla alle harmony vocais troviamo Alison Krauss e Dan Tyminski. Morning Train è una slow ballad malinconica che mischia folk e blues con finezza, mentre The Moon is Down è calda, intensa e coinvolgente, quasi un valzer lento pieno di malinconia, molto suggestivo. Una canzone del miglior Prine, che ha in sé tutti i crismi della tradizione ma cha sa essere anche moderna. Clay Pigeons è invece la composizione più famosa di Blaze Foley, oscuro cantautore texano che ora sta tornando fuori dall'anonimato in cui lo aveva gettato una morte improvvisa ed ingiusta. Prine fa sua la stupenda ballata di Foley, la canta come una folk song di trenta anni fa, quasi la avesse scritta lui. Commovente.
She is My Everything è più elettrica, c'è una ritmica solida ed il piano in evidenza, ma il suono è sempre molto legato alle radici e poi John trova un riff ricorrente che ci fa amare subito la canzone I Hate It When That Happens To Me è l'ennesimo capolavoro di un disco ad altissimo livello. Una ballata lenta, venata di tristezza, che mischia un suono lucido e pulito ad una melodia piena di suggestioni. Sorprendente la versione elettrica di Bear Creek Blues della Carter Family, che fa uscire completamente il brano dai suoi schemi originari. Il disco si chiude con una registrazione dal vivo dove ritroviamo l'ironia e la bravura di Prine, voce e chitarra di fronte ad un pubblico attento: Other Side of Town. Safety Joe, in studio, è un talkin' blues in cui c'è tutto l'amore per le tradizioni di John, e tutto il fascino che la sua musica è ancora in grado di esprimere. Un classico.