BRUCE SPRINGSTEEN (Devils & Dust)
Discografia border=Pelle

             

  

  Recensione del  12/05/2005


    

Le immagini del video annesso al cd Devils & Dust danno l'esatta dimensione e collocazione del disco in termini tematici e musicali. Bruce è solo all'interno di una stanza disadorna e spoglia in una vecchia casa di legno americana, di quelle che ormai si trovano solo nella profonda provincia del Midwest o del sud. Con gli stivali da cowboy, un look dimesso che ricorda i tempi di The River e Nebraska, seduto con la chitarra e l'armonica, Springsteen canta con una voce e una spiritualità alla Johnny Cash rubando agre note a corde che sembrano appartenere alla tradizione del vecchio blues prebellico di Robert Johnson.
L'immagine ricorda la copertina di King Of The Delta Blues di Robert Johnson, un uomo, una chitarra, un microfono e il silenzio di un vecchia casa del sud appena illuminata da una lampada. Il cielo blu e gli alberi al di fuori, magistralmente fotografati da Danny Clinch con la macchina in movimento, evocano i paesaggi di certi film di Wenders, un senso di malinconia e solitudine traspare dal film e dalle scarne note di canzoni che non si vergognano della loro nudità e della loro magrezza. Cinque canzoni dell'album, compreso il singolo Devils & Dust, sono state private di qualsiasi orpello strumentale nella volontà di offrire solo l'anima della canzone.
Che è l'anima di tutto il disco, un disco toccante e meraviglioso, che non è ne una copia di Nebraska né il seguito di Tom Joad, sebbene abbia qualcosa di entrambi e suoni più vario, più ricco strumentalmente, più rifinito in termini di arrangiamenti e dettagli rispetto ai due precedenti, anche più rock n' roll se del rock n' roll ci interessa lo spirito e non solo il volume. Devils & Dust non è un disco folk ma un disco profondamente ancorato nella più classica tradizione musicale americana con l'intento di scavare nella propria storia per capirne la vera identità culturale e morale dopo che gli avvenimenti di questi anni hanno seriamente compromesso la coscienza di una nazione e di un popolo.
Così il cammino intrapreso cantando la nuova depressione in Tom Joad e lo smarrimento del post-11 settembre in The Rising sembra arrivato ad una tappa conclusiva. Devils & Dust è la terza parte di un opera che riporta l'uomo e l'artista alla convinzione che la rifondazione morale di una nazione deve avvenire solo all'interno della propria storia, riandando all'inizio, alle fonti e alle radici, recuperando l'etica dei padri fondatori, che nella musica sono proprio Robert Johnson, Leadbelly, Woody Guthrie.
E Johnny Cash che mai come in questo disco risuona dappertutto, nella voce profonda di Springsteen, nelle ballate che sanno di chiese ai margini del bosco e di querce secolari, negli arpeggi di chitarra semplici e magnifici, nella tristezza di certe canzoni e nel senso biblico di altre, su tutte Jesus Was An Only Son dove la melodia country e un organo ecclesiastico vengono ad un certo punto assalite da una batteria che non ti aspetti. Sembra che la scomparsa di Cash abbia in qualche modo influenzato l'ispirazione dello Springsteen di Devils & Dust ma sarebbe riduttivo fermarsi qui e ignorare il raffinato lavoro negli arrangiamenti di Brendan O'Brien, misurati ma decisivi, la batteria minimale e salutare di Steve Jordan, le chitarre, i mandolini, i violini e l'armonica, a volte dylaniana in modo imbarazzante.
Senza contare che qui ci sono dodici canzoni di grande presa emotiva e di alta qualità, quella qualità che fa di Devils & Dust il miglior disco di Springsteen in termini di scrittura d'autore, l'album più da songwriter dell'intera sua discografia. Non ci vuole molto ad accorgersene, se Devils & Dust è già un classico dell'America di polvere e diavoli di cui è piena tutta la nostra immaginazione che avidamente si è alimentata di strade, perdenti, peccatori e sognatori, All The Way Home, che in pratica è la stessa canzone scritta per Better Days di Southside Johnny, è una frustata rock che fa piazza pulita di quanti credevano a uno Springsteen lagnoso e sconfitto.
La batteria di Jordan picchia duro e la band suona trash alla maniera dei vecchi Stones. Sono parole direttamente estratte dal testo della canzone, forse l'episodio più marcatamente rock di tutto il disco per via di una elettricità che si vive sulla pelle e che contrasta con l'aria folkie e western di Reno e coi riferimenti alla Grande Depressione e al Woody Guthrie di Black Cowboys, un pezzo che avrebbe potuto stare in Nebraska.
A metà strada tra elettrico e acustico è Long Time Comin', melodia country e voci gospel per un brano che suona corale e popolare come fosse un incrocio di Local Hero e Leap Of Faith mentre Maria's Bed intreccia mandolini e chitarre, batteria e violini in un connubio di pura americana dove il country e il folk si sposano con la Band e Gram Parsons. Una canzone che inizia sommessa sulla veranda di casa per poi finire in apoteosi in strada. La povertà, gli immigrati, il confine ovvero i temi di The Ghost of Tom Joad anche qui lasciano tracce di un amarezza e di una disillusione che il nuovo ordine mondiale non è in grado di cancellare.
I toni tristi di Silver Palomino e il clima laconico di Matamoras Banks costituiscono il punto di congiunzione con il disco acustico del 1995 e con lo Springsteen più strettamente sociale mentre The Hitter catapulta l'artista nei paesaggi cari a Mary Gauthier e Lucinda Williams, tra Baton Rouge, New Orleans e la torbida America di James Lee Burke. Che il profondo sud non sia solo il pretesto per le suggestive immagini del video di Danny Clinch lo dimostrano le note di All l'm Thinkin' About, uno splendido falsetto giocato su un ritmo cajun con una contagiosa melodia da folk ballad anni 60 che, sono sicuro, spezzerà il cuore anche ai più duri. Devils & Dust per il suo sentito e maturo approccio alle radici e la sua profondità emotiva è il disco più buscadero di Springsteen.