SHURMAN (Jubilee)
Discografia border=parole del Pelle

  

  Recensione del  12/05/2005
    

Il nome non vi dice nulla. Ed a ragione. Provengono da Los Angeles ma sono, malgrado la giovane età dei quattro componenti, una delle hard working bands in questo momento in Usa. Hanno suonato quasi duecento date nel 2003 e duecentotrenta nel 2004, e questo senza avere un disco vero alle spalle. Hanno pubblicato, è vero, due EP autogestiti che sono andati praticamente a ruba (ventimila copie o giù di lì): Superfecta e 5 Songs to Tell Your Friends About. Ma il vero colpo lo hanno fatto quando hanno firmato per la Vanguard. Shurman è un quartetto tutto chitarre che mischia country e rock con un tocco di southern: musica elettrica e robusta, ma che lascia fuoriuscire melodie limpide che hanno i connotati di gente come Tom Petty, Jayhawks, Cross Canadian Ragweed, Drive By Truckers.
La band è formata da Aaron Beavers e Damon Allen, voce solista e batteria, quindi dal chitarrista Jason Moore e dal bassista Keith Hanna. Moore è un chitarrista giovane ma di indubbio talento, lancia strali infuocati e tiene alto il suono della band, a cui da un contributo la solida sezione ritmica mentre canzoni, voce, armonica ed altre cose sono nelle mani di Beavers. Un quartetto dal suono maturo, che ha dalla sua una manciata di canzoni fiere, in puro stile Americana, ma non rinuncia a scrivere solida ballate rock con forti influenze southern, come Petty Song o So Happy, dal refrain irresistibile.
E poi i ragazzi hanno anche qualche ospite che rende più gustoso il piatto: Doug Pettibone (chitarrista di Lucinda Williams), Skip Edwards (della band di Dwight Yoakam), Garrison Star (cantautrice), Ben Peeler (steel guitarist). Jubilee è anche prodotto bene, grazie alle mani esperte di Dusty Wakeman e Andrew Williams (che hanno lavorato con Old 97, Lucinda Williams, Dwight Yoakam, Five For Fighting) che hanno aiutato Aaron Beavers. L'esperienza in varie band rock e roots, ha portato Beavers e Allen ad affinare la propria qualità, ed Aaron ha anche acquisito una buona proprietà di scrittura.
Il risultato sono undici canzoni di spessore, undici ballate elettriche che fondono rock e passione, radici country e pura Americana e che danno luogo ad un suono fiero e vibrante, figlio degli Heartbreakers di Petty e di altri nobili predecessori. Basta ascoltare canzoni come Petty Song (lo dice anche il titolo), la rude Drown in', il rockin' country Red Eyes, la ballad roots Impossibilities, la coinvolgente Jubilee per rendersi conto che ci troviamo di fronte ad una giovane band di indubbio valore. Sano rock and and roll, da gustare dalla prima all'ultima goccia.