A parte il periodo del Bakersfield Sound californiano, tra la fine degli anni ’50 e parte dei ’60, possiamo affermare che la vera spina nel fianco di quell’enorme industria discografica che si trova a Nashville sia, ormai da molto tempo quel gigante del Sud, piatto, noioso e polveroso conosciuto come Texas. La tradizione musicale texana si perde nella notte dei tempi, basti pensare alla ‘scuola’ violinistica dei primi del secolo; allo spunto che ha dato al cinema prima, alla già fiorente industria discografica degli anni ’30 poi a sfruttare commercialmente l’immagine del cowboy e il mito western; e per finire a quella stupenda musica da ballo dalle mille influenze chiamata western-swing. E’ proprio di ‘influenze’ che bisogna parlare quando si pensa al Texas. Certo avere la ‘fortuna’ geografica di essere vicini di casa di Louisiana e Messico non è poco.
E come se non bastasse immaginiamo quante decine di migliaia di persone tedesche, polacche, cecoslovacche, irlandesi, svedesi e inglesi con le loro tradizioni, culture e musiche si siano riversate su questa terra quando alla fine degli anni ’20 qualcuno ha fatto un buco e ha scoperto che sotto di essa c’era un enorme serbatoio di petrolio. Non è necessario narrare la storia economica-sociale-musicale di un paese per recensire un disco, è vero, ma per capire meglio un musicista è spesso utile sapere da dove arriva, specialmente quando la sua musica ha a che fare con una tradizione quasi secolare come questa.
Chris Wall è figlio a tutti gli effetti della sua terra e le sue canzoni lo riflettono, ma con una maggior attenzione nei confronti dell’attuale tendenza dettata da Nashville. Quindi belle storie con un sound honky-tonk pieno e corposo, cristallino e pure facile. Può essere che Nashville se lo inghiotta, ha il potere di farlo; comunque vada un altro vero cowboy in quella città non può che fare bene. Comprate questo disco se potete farlo.