Grande stato quello del Texas: non sono neanche duecento anni che esiste (politicamente parlando) e continua a sfornare una messe apparentemente inesauribile di talenti, siano essi debuttanti oppure già sulla piazza da un certo tempo. Come nel caso di
Luke Olson, texano che gravita nell’area di Austin, con quattro albums all’attivo, ultimo dei quali questo imperdibile
Uvalde, datato 2003. Avevamo avuto occasione di ascoltare/apprezzare per la prima volta Luke nel 1996, in occasione dell’uscita del suo esordio intitolato
Maybe Someday, CD interessante per un giovane esordiente, con idee abbastanza precise circa le proprie scelte musicali.
Premesse e promesse poi regolarmente mantenute con i due dischi seguenti,
Southern Skies (1997) e
Panhandle Sunset (1999), prodotti densi di amore per il Texas, con titoli quanto mai suggestivi ed un sound personale, ma ancora imperfetto nella sua espressione artistica globale: un esordiente in attesa del salto di qualità. Sono passati sette anni da allora, ma chi ha avuto la pazienza e la fiducia di credere in Luke e saper attendere non resterà deluso, perché questo
Uvalde è il degno coronamento di una carriera non ancora lunga, ma che si rivela d’ora in poi ancora più promettente che in passato. Già l’iniziale
On The Road ci propone un sound elettroacustico ben arrangiato, corposo e maturo, con un cantato decisamente all’altezza della situazione.
Just Holding You è una ballata morbida, ma nervosetta, giuocata sui toni della chitarra acustica di Luke, di Lloyd Maines (che produce pure) e del solista David Grissom, che si supera nel finale.
If You’re Ever In Oklahoma è la rilettura in chiave bluegrass del classico di J.J. Cale originariamente contenuto in Really (1972): grande lavoro di reinterpretazione di un autore davvero impegnativo, con il quale raramente si cimentano anche artisti di maggiore esperienza di quella maturata da Luke. Il risultato è però davvero buono e la sua credibilità non può che beneficiarne. La ritmata
North lascia il passo ad una sognante
All These Years, abbellita dalla performance vocale di Terri Hendrix,
Greenwood Town, un altro originale, è uno dei miei preferiti, con quel suo passo gioso e gradevolmente country.
Gulf Coast Romance rasenta il capolavoro: un talking-blues (in lingua italiana ci aveva provato, a suo tempo, anche Francesco Guccini…) che ospita per l’occasione due mostri sacri del cantautorato texano d’annata (
Ray Wylie Hubbard) e più contemporaneo (
Pat Green). Grande come al solito il lavoro dei chitarristi acustici.
Old Mines Road sembra una fotografia sonora dei paesaggi arsi dal sole del deserto che picchia a picco sulle colline che ospitano le miniere oramai abbandonate.
1985 è ancora ai vertici dell’album, che resta comunque abbondantemente sopra la media in complesso: gradevolmente cadenzata dal mandolino e dalla chitarra acustica di Rich Brotherton, si sviluppa con un passo molto coinvolgente ed intrigante. Il CD si chiude con il title-track, nome di una nota cittadina texana, ma anche ballata struggente e torrida, prettamente texana, con un tocco di accordion che fa tanto tex-mex, border music e tutto il resto. Un disco molto caliente, per palati raffinati, ma altrettanto interessante per i neofiti abbastanza cocciuti da darsi da fare per procurarselo.