Inutile negarlo, ogni volta che un disco o un tour di
Springsteen si preannunciano all'orizzonte sale la febbre. Nel caso di un tour la fibrillazione ha picchi altissimi perché la ricerca dei biglietti è ardua e spasmodica e in molti casi occorre avere una rete organizzativa collaudata per arrivare diretti e senza traumi al risultato finale. Trattasi di un ticket per un concerto italiano (nel passato si è anche dovuto rilasciare un'autocertificazione per poter accedere alla prenotazione del biglietto) oppure di "una gita fuori porta" verso qualche data "extra" oltre confine.
Zurigo rimane una tappa d.o.c per gli springsteeniani dello zoccolo duro, Monaco di Baviera è ambita da quelli che abitano a est, la Francia, in particolare Parigi, rimane sempre un'attrazione di grande fascino. Ci sono poi quelli che prendono il volo verso Londra e Stoccolma e i più fortunati puntano direttamente alla terra promessa sbarcando nel New Jersey o a New York City, magari come è capitato per il finale del Reunion Tour 1999/2000 al Madison Square Garden. Con i dischi la febbre ha una salita graduale, non ci sono pericolose impennate con esplosioni di euforia (hurrah, ho trovato tutti i biglietti che cercavo) o implosioni di sconforto (cazzo, i biglietti sono già tutti esauriti) ma piuttosto si vive una dolce,calda attesa che culmina con la pubblicazione dell'amato oggetto.
Allora è caccia presso il proprio "spacciatore" di fiducia e se succede di non entrare in possesso del disco il giorno stesso della pubblicazione allora, beh, ci si sente un po' meno springsteeniani del dovuto, come se si fosse fallita la meta. Con il rocker del New Jersey le febbri da disco non sono molto frequenti, data l'avarizia con cui l'artista gestisce la propria produzione discografica, l'ultima volta che si è vissuto questo particolare tipo di trance era il dicembre 1998, periodo di fibrillazione per per il box di inediti
Tracks.
Cofanetto (stupendo) che aveva giustificato la tanto auspicata riunione della
E Street Band e la realizzazione del Reunion Tour 1999-2000. Partito il 9 aprile del 1999 dal Palau Sant Jordi di Barcellona, il Reunion Tour ha attraversato l'Europa e il Nordamerica interessando 132 concerti.
La
tranche europea del tour (preparazione per i più solidi concerti americani) si è conclusa il 27 giugno 1999 a Oslo mentre la prima parte americana è iniziata, con 15 concerti sold out (300.000 biglietti venduti in poco più di venti minuti tramite Internet), il 15 luglio nel mitico Meadowlands Arena (oggi Continental Airlines) a East Rutherford nel New Jersey.
Interrottasi nel novembre dello stesso anno con un ultimo concerto a Minneapolis, l'appendice americana è ricominciata nel febbraio del 2000 per concludersi definitivamente dal 12 giugno al 1 luglio 2000 con le dieci magiche (e discusse) serate al Madison Square Garden di New York. Lo Reunion Tour è stato uno degli awenimenti più esaltanti dell'intera carriera di Springsteen, per via della ritrovata unione con i "blood brothers" della E Street Band e per via di concerti che hanno riproposto la magia e l'esaltazione degli avvenimenti (in particolare i concerti del 1978 e il tour di The River) con cui Bruce è diventato, giustamente, una delle leggende del rock'n'roll.
Con il Reunion Tour Springsteen ha riempito una falla che, in questo fine secolo, lo show business sembrava avere, quello cioè di avere un super Rock n'Roll Show confezionato da un artista che non giungesse dalla scena alternativa e non fosse il prodotto della moda del momento.
Bruce Springsteen and The E Street Band:Live In New York City è il terzo live ufficiale dell'artista, dopo il contraddittorio (molto venduto ma poco ascoltato)
Live e il
Plugged del 92 senza la E-Street Band ed è il coronamento, seppur parziale, del grande evento che è stato il tour a ridosso di
Tracks, un box di inediti che necessariamente non richiedeva una promozione dal vivo.
Il nuovo live si inserisce in una operazione commerciale più ampia,che prevede un doppio Cd con diciannove canzoni estratte dai concerti del 29 giugno e del 1 luglio al Madison Square Garden e un filmato (
Bruce Springsteen and The E Street Band) che sarà trasmesso in prima visione il 7 aprile dalla stazione via cavo HBO, quella che dell'incredibile successo della serie TV The Sopranos (con Miami Steve Van Zandt nella parte di un mafioso).
Non è escluso, comunque, che nei mesi successivi ci sia una coda con la pubblicazione di un DVD, visto la strategia promozionale che circonda tale supporto. La febbre è quindi alta e noi l'abbiamo vissuta tutta, cercando in tutti i modi di ascoltare il disco in anteprima e recensirlo per tempo. L'avvenimento è accompagnato anche da altre due interessanti pubblicazioni destinate ad amplificare l'"effetto Springsteen". Ovvero la recente uscita di
Messin' With The Blues, un inaspettato album di blues, rauco e fuori dagli schemi, da parte di
Southside Johnny e gli Asbury Jukes,amici di Bruce dai giorni eroici dello Stone Poney e la realizzazione di
The Songs Of Bruce Springsteen, un disco di cover (per nulla scontate) da parte del Soul Crusader italiano Graziano Romani, ex frontman degli storici Rocking Chairs e anch'egli fedele crociato della musica di Springsteen fin da tempi non sospetti. C'è di che essere a posto per un po', gli estimatori del Jersey rock hanno davanti una primavera con i fiocchi.
BRUCE SPRINGSTEEN and THE E STREET BAND: LIVE in NEW YORK CITY
IL LUOGO. Non poteva esserci scelta migliore. Perché al Madison Square Garden hanno registrato live tutti i più grandi, da Frank Sinatra a Elvis Presley, dai Rolling Stones al No Nukes e questo è l'ultimo grande evento musicale prima del definitivo trasloco del Garden dalla 7 Ave./33 ma Strada a nuova destinazione da stabilirsi. Le date al Madison Square Garden sono, inoltre, quelle che concludono il trionfante Reunion Tour 1999/2000 e gli show a New York sono stati votati dai lettori e dai giornalisti della principale fanzine su Springsteen, Backstreets come i migliori dell'intera tournee. Springsteen ha un rapporto "privilegiato" e pluridecennale con la più famosa arena del mondo.
La prima volta di Bruce al Madison Square Garden fu nel 1973, pressoché sconosciuto supporter degli allora multiseller Chicago, l'ultima volta fu il 23 maggio 1988 quando si concluse il tour americano di Tunnel Of Love e la E Street Band "lasciò gli States" per undici lunghi anni. Perché da sempre New York City rappresenta quel meeting across the river nell'immaginario springsteeniano col suo carico di strade e durezza, ponti e sogni. Per uno nato e cresciuto al di là dell'Hudson River, la Grande Mela è la terra promessa a portata di mano, ben più reale della California e sebbene Springsteen abbia conservato nel tempo quello spirito da sincero provinciale, riempire quindici sere di fila (nonostante il boicottaggio delle autorità politiche della città, in primis il sindaco Giuliani) la venue principale di New York City è come aver realizzato il suo sogno originario.
Per un buzzurro del vicino e beffeggiato New Jersey è un grande onore aver conquistato New York City, una grande vittoria come ha sottolineato lo stesso artista durante una serata al Madison quando ha affermato scherzosamente che "New York New York è grande solo perché l'ha cantata Frank Sinatra che è del New Jersey e che, a pensarci bene, anche la Statua della Libertà si trova nel New Jersey". Una vittoria conquistata sul campo, attaccando nel momento giusto e nel posto giusto l'ipocrisia e le bugie di una politica municipale basata sulla repressione verso minoranze e poveri. Sebbene comparsa per la prima volta il 4 giugno ad Atlanta, American Skin (41 Shots) è stata la vera protagonista di tutte le serate del Madison, un'autentica bomba contro la Tolleranza Zero di Rudolph Giuliani e della sua polizia. Le autorità poliziesche della città, in particolare Bob Lucente, Presidente della sezione newyorchese del Fraternal Order of Police oltre a altre fonti vicine alle Pattuglie AntiCrimine, non hanno tardato a definire Springsteen un "sacco di merda che cerca di trarre profitto da una storia disgraziata e sfortunata", invitando esplicitamente a boicottare i 15 show in città, guarda a caso immancabilmente sold out.
Il fatto su cui si basa American Skin, una delle più caustiche e "politiche" canzoni rock mai scritte, è cosa nota da quest'estate. Un ambulante originario della Nuova Guinea, Amadou Diallo, aveva infilato la mano nei pantaloni per prendere il portafoglio durante un controllo delle Pattuglie Anti Crimine. Viene raggiunto da 41 colpi sparati dalle pistole dei poliziotti. "Era buio,credevamo che avesse una pistola" dichiarano gli agenti a giustificazione di quella inutile pioggia di proiettili. Springsteen ha invitato al Madison Square Garden la sera del 12 giugno i genitori di Amadou Diallo, che hanno dovuto ingoiare l'assoluzione degli assassini del figlio. Una tangibile prova di come lo Springsteen superstar non dimentichi i problemi della gente comune, dei poveri, degli sfortunati, di quelli truffati dall'american dream.
LA SCALETTA.
Sono diciannove le tracce di Live In New York City, la maggior parte estratta dal concerto del 1 luglio e il rimanente da quello del 29 giugno. Da quest'ultima data provengono Don't Look Back, un brano di Tracks e la epica Jungleland, non eseguite il 1 luglio. L'apertura è attribuita ad una strepitosa versione di My Love Will Not Let You Down, la open song più usata di tutto il tour (38 volte) che nelle due date in questione ha dovuto cedere, però, il suo "privilegio" all'inedita Code of Silence. Seguono Prove It All Night, Two Hearts con il consueto duetto con Steve Van Zandt, Atlantic City, il quadretto roots di Mansion On The Hill, la versione rallentata di The River con l'introduzione del sax jazzy di Clemons, le portentose Youngstown e Murder Inc. votate dai lettori di Backstreets come le top standards songs suonate nell'intera tournee.
E ancora Badlands (di cui personalmente avrei fatto a meno, visto la frequenza in bootleg e live), Out In The Street, la festosa sarabanda di Tenth Ave. Freeze Out, motivo di presentazione di tutta la band e le nuove Land Of Hope and Dreams e American Skin, quest'ultima martellata dall'ossessivo refrain di "41 shots" e dall'inequivocabile verso "you can get killed just for living in your American Skin".
Doveva essere questa la scaletta del doppio Cd ma sarebbe stata una presa in giro vista la ridotta esposizione del materiale portato in tournee e la sua brevità. Allora sono state aggiunte altre sei tracce che non fugano, comunque, l'impressione di trovarsi di fronte a un riassunto troppo conciso di una serata al Madison Square Garden, considerate le tre ore e passa dello show. Perché, una volta tanto, non si sono buttati a mare il conformismo e le convenzioni commerciali e non si è pubblicato (magari con un rivoluzionario ma popolarissimo Cd del tipo prendi 3 e paghi 2) l'intero, conclusivo concerto del 1 luglio a New York con il finale a sorpresa (unica apparizione in tutto il tour e precedentemente suonata solo per il video del 1995) di Blood Brothers?! Ritorniamo coi piedi per terra.
Le sei tracce appiccicate all'ultimo momento sono Lost In The Flood, chicca della scaletta del 1 luglio e autentica rarità dal vivo visto che era dal 1 settembre del 1978 a Detroit che Springsteen non la eseguiva, la solita Born In The Usa (usata anche nel Tom Joad Tour), le già citate Don't Look Back e Jungleland, la "riveriana" Ramrod e la corale e commovente If I Should Fall Behind. Fermo restando che avere un album di Springsteen in uscita,anche con tutte le pecche di questo mondo, è sempre meglio che vivere solo di desideri, è legittimo avanzare qualche dubbio. Senza entrare nel gioco della "propria scaletta ideale" (un po' come farsi la propria nazionale di calcio) perché non pubblicare tutto lo show del 1 luglio? Sarebbe stato un avvenimento discografico grandioso. Perché non includere tutti gli inediti eseguiti a New York City oltre a Land Of Hope and Dreams e American Skin ovvero Further On Up The Road, Another Thin Line e la sferzante Code Of Silence, degno completamento "politico" dei 41 shots?
E perché non aggiungere le rarità di quelle serate sulla 7ma Avenue, Blood Brothers innanzitutto, cantato da tutta la band col suo carico di cameratismo e amicizia, la pianistica e solitaria (Bruce al piano) The Promise, l'antemica This Hard Land e la divertente e frizzante The E Street Shuffle? Oppure, andando a pescare nella notte del 20 giugno, perché non mettere in coda New York City Serenade? I sogni, si sa, sono una cosa e la realtà è un'altra. Godiamoci quindi questo Live In New York City e non lamentiamoci dell'esistenza dei pirati.
LA PERFORMANCE.
A questo punto, una volta che il Cd parte tutte le critiche e i dubbi svaniscono perché Live In New York City è il miglior disco dal vivo di Bruce uscito fino ad ora ed è il disco live che tutti si aspettano da Springsteen. Registrazione pulita, suoni netti, applausi presenti come necessita in un live ma non invadenti (come purtroppo accade nei bootleg), performance da mille e una notte. Lo show del Madison Squadre Garden è un grande show di rock'n'roll, degno di entrare nella storia di questa musica. Intenso, esaltante, carico di emozione, teso e dolce allo stesso tempo.
La E Street Band è al top, le versioni sono da antologia, la voce di Springsteen non è mai stata così calda e profonda. Sessantatre minuti il primo Cd, quasi settantacinque il secondo, brani della lunghezza media dei sei minuti con Tenth Ave. Freeze Out lunga sedici minuti, Land Of Hope and Dreams di nove e passa minuti, The River di undici. Difficile scegliere le gemme del disco perché questa volta la festa è grande e finalmente il più grande spettacolo rock del mondo è stato tradotto su disco in modo perfetto.
Tutto gira a mille, dal trascinante inizio di My Love Will Not Let You Down all'epico affresco urbano di Jungleland, ogni volta un tuffo al cuore tanta è la bellezza e il lirismo, dall'assolo di chitarra torcibudella di Prove It All Night alla straordinaria e biblica Lost In The Flood, ritornata in pista dopo ventidue anni in una veste tesa, potente, emozionante. Una delle highlights dello show. In mezzo roba da maneggiare con cura come la sferragliante e durissima Murder Inc., come le canzoni della gioia ovvero il R&B cameratesco di Two Hearts e l'artiglieria elettrica di Out In the Streets e Ramrod che con quel suono alla The River (l'album) sono la quintessenza del rock'n'roll del Boss.
E poi l'entertainment Tenth Ave. Freeze Out ancora una volta trasformata in un teatrino doo-wop, con tutti i trucchi dell'avanspettacolo, tra cui le plateali e simpatiche presentazioni degli E-streeters e con preacher-Bruce a intonare Take Me To The River di Al Green e ad evocare tutto un mondo di soul, di joy, di faith, di love, di sexual healing. Magnifica per tutto il concerto la E Street Band, la quale suona come forse non ha mai fatto, unendo rabbia e maturità, alternando grinta e chitarre con raffinati intermezzi acustici di sapore country (Mansion On the Hill) o arrangiamenti eterei, quasi impalpabili nella loro scarna rivisitazione ai confini del jazz (The River e If I Should Fall Behind).
Vecchie conoscenze come Born In the Usa in versione acustica e folkie non sono una novità ma un'altra veterana come Atlantic City, pur considerando il cupo bianco e nero originale e un drammatico sottofondo di organo, è adesso contrappuntata da un cantato a risposta in stile doo-wop, genere che all'inizio degli anni 60 fu molto popolare a New York City per via di Dion e dei gruppi vocali di colore. Se le chitarre sono la rassicurante prima linea della E-Street Band, quella fine e tecnica di Lofgren, quella rollingstoniana di Miami Steve e quella brutale di Springsteen che con la Telecaster porta le ballate in un inferno urbano in cui è difficile rimanere illesi, finalmente la coreografia pianistica è tornata quella di una volta. Roy Bittan è di nuovo un pianista e non un alchimista delle tastiere, relega il synth al solo Youngstown e per il resto fa sentire il suo caldo e armonioso strimpellare.
Danny Federici, che quando imbraccia la fisarmonica porta la E Street Band tra le roots della musica americana, quando è all'Hammond ci ricorda com'era il rock prima dell'elettronica. Diverso l'impatto delle nuove canzoni. Land Of Hope and Dreams inizia secca con le chitarre e poi lascia che sia il piano a dare pienezza. La canzone diventa epica e si rivela come uno dei brani migliori scritti da Springsteen da dieci anni a questa parte. Altro magico, emozionante momento del concerto. Diversa American Skin che col suo tam tam ossessivo e parlato ha una ragione soprattutto per le liriche e il suo significato di denuncia. È una sorta di manifesto politico delle serate a New York City, un motivo per ricordare che il rock n'roll di Bruce Springsteen continua a vivere su quelle stesse strade in cui un Amadou Diallo qualsiasi muore per la violenza e la brutalità del potere.
Live In New York City è un grande show e un grande disco.