JOHN DOE (Forever Hasn't Happened Yet)
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  Recensione del  30/03/2005
    

Con l'ultimo disco John Doe, che con Exene Cervenka aveva creato l'epopea leggendaria degli X, aveva capito che collaborazioni e special guest contribuivano non poco a migliorare il paesaggio sonoro e la qualità delle sue canzoni. In realtà è fin dal primo album solista, Meet John Doe che la pratica viene risolta in questo modo e forse l'altalenante qualità dei suoi dischi dipende proprio dalla qualità dagli invitati. Per Forever Hasn't Happened Yet, John Doe (che ha sempre una voce molto evocativa) si è scelto Neko Case, Kristin Hersh, Cindy Lee Berryhill e la figlia Veronica Jane (sedici anni) per le voci nonché la compagnia di Grant Lee Phillips e Dave Alvin ed ha ottenuto il suo più bel disco da See How We Are ad oggi.
In effetti Forever Hasn't Happened Yet ricorda molto da vicino l'ultimo capitolo degli X (reunion, antologie e ricorrenze a parte): ne condivide i toni crepuscolari, l'attenzione per le ballate intrise di blues e di radici, di Bob Dylan e Muddy Waters in parti più o meno uguali. Era proprio quella l'idea di John Doe quando si è chiuso in uno studio di registrazione sulle colline di Los Angeles per incidere le canzoni di Forever Hasn't Happened Yet.
Un suono grezzo, costruito attorno alle chitarre, pochi accordi di pianoforte, un continuo intrecciarsi delle voci (com'era naturale negli X) per mezz'ora di musica più che dignitosa che si divide tra un pugno di ballate acustiche, o quasi (Twin Brother, Your Parade, Worried Brow e la splendida She's Not), qualche rock'n'roll (perché pur non rimpiangendo il passato, lo stile è rimasto intatto e in Heartless o Mama Don't si sente chiaramente) e alcuni esperimenti che cercano di allargare il suo raggio d'azione. Con The Losing Kind, che è un blues rivisto e corretto, John Doe arriva a lambire gli stessi territori esplorati dall'ultimo Tom Waits, in There's a Black Horse sfiora la musica tradizionale citando persino la Carter Family e l'armonica di Repeat Performance ricorda persino i Wall of Voodoo di Stan Ridgway.
C'erano anche loro insieme agli X, ai Blasters, ai Green On Red e ai Dream Syndicate per una breve ed intensa stagione del rock'n'roll di Los Angeles. John Doe sembra gettare un ponte con quel periodo creativo e pieno di dischi indimenticabili (Medicine Show, Gravity Talks, Under The Big Black Sun, Call Of The West erano titoli adattissimi anche ad altrettanti romanzi o film): scrive Hwy 5 con Exene Cervenka e la canta con Neko Case. Passato prossimo e futuro del rock'n'roll in un disco che chiede pochissimo e si concede con una certa generosità.