LUCINDA WILLIAMS (Car Wheels On a Gravel Road)
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  Recensione del  29/01/2004
    

«Lucinda Williams, come Bob Dylan e Neil Young, è una rimarchevole cantautrice con una voce roca e ben strutturata che agisce come se lei stesse parlando direttamente dal suo cuore» The New York Times - Sunday Magazine 1997. «Car Wheels on a Gravel Road è il Blonde on Blonde degli anni novanta». Joe Boyd, leggendario produttore.
Due pareri niente male su un disco che si è fatto attendere per sei anni. Infatti così lunga è stata l'attesa per i fans e gli estimatori della cantautrice della Louisiana (è nata a Lake Charles): un po' del suo ci ha messo anche Rick Rubin e la sua American Recordings, che ha chiuso i battenti ed ha venduto i suoi prodotti al miglior offerente. Un po' ce lo ha messo la stessa Lucinda, lenta e piena di dubbi, che non ha mai messo fretta alla sua ispirazione.
La prima volta che ho visto la Williams è stato nel 1981, in un club di Austin, dove suonava tutta sola: Butch Hancock mi aveva portato al Threadgill's per assistere ad un suo concerto, dicendomi «questa diventerà famosa». Il vecchio Butch ha la vista lunga e Lucinda ha assaporato la fama fin dal 1988, quando una sua composizione, Passionate Kisses, è diventata di dominio pubblico ed ha poi vinto un Grammy grazie all'interpretazione di Mary Chapin Carpenter nel '94. Lucinda è una cantautrice anomala, la potremmo definire uno Steve Earle in gonnella, in quanto ha molto a che spartire con il grande songwriter texano. Il modo di cantare piuttosto distaccato, quasi pigro, la strumentazione elettrica, molto efficace ma mai sopra le righe, la struttura delle sue composizioni, sempre in bilico tra folk e country, tra rock e blues, ma decisamente abbarbicata alla tradizione.
È nata in Louisiana dove suo padre, Mister Williams, poeta e professore di lettere oltre che critico musicale, ha avuto molta parte nella sua educazione, musicale e non. Lucinda ha passato la sua giovinezza spostandosi da un college all'altro del Sud, andando persino a Mexico City ed a Santiago del Cile. Ha cominciato a cantare sin da quando aveva 12 anni, e Highway 61 revisted di Bob Dylan è stato alla base della sua formazione, come pure il blues di Robert Johnson, Bukka White e Skip James. All'inizio degli anni settanta ha cominciato a suonare dal vivo e, dal '74, si è spostata a vivere ad Austin, quindi è andata ad Houston dove ha conosciuto Nanci Griffith, Lyle Lovett e Townes Van Zandt. Nel '78 ha passato un pomeriggio negli studi Malaco di Jackson, dove ha inciso il suo primo album.
L'anno dopo ha registrato il suo secondo lavoro, Happy Woman Blues. Poi ha dovuto attendere otto anni per dare alla luce il terzo album, Lucinda Williams, quello che la ha consacrata alla fama. Ma lei, tranquilla come non mai, ci ha messo altri quattro anni prima di approdare ad una nuova incisione, e nel '92 è stata la volta di Sweet Old World, dopo che una sessione con la RCA, incisa nel '90, la aveva lasciata insoddisfatta. Poi è andata in tour in Australia con Rosanne Cash e Mary Chapin Carpenter, ed in quel tour Mary ha capito che Passionate Kisses era fatta per lei. Dal '94 in poi ha preso casa a Nashville ed ha cominciato a pensare seriamente al suo nuovo album. Car Wheels on a Gravel Road è un disco profondo e maturo, degno di una grande cantautrice, di una di quelle di cui ormai si è perso lo stampo. Il disco è stato prodotto da Steve Earle dopo che Lucinda aveva assistito alle sessioni di I Feel Alright di Steve e si era innamorata di quel tipo di suono: ed il suo disco ha quel suono, distaccato e pigro, ma profondo e accorato al tempo stesso.
Poi Steve (che suona la chitarra in vari brani dell'album), pieno di impegni, non ha potuto dare il tocco finale al disco e la Williams è volata a Los Angeles per i missaggi finali, sotto la supervisone di Roy Bittan. Right in Time è una ballatona elettrica, molto appassionata, cantata con voce roca e presente. È stata l'ultima canzone che la cantautrice ha scritto per l'album ed è una delle più intense. Evocativa, si basa su una base ritmica solida e su una chitarra elettrica, mentre la voce lascia ampi spazi alla melodia, seguendo i continui stacchi degli strumenti. Car Wheels on a Gravel Road parla della sua giovinezza, dei primi anni di vita: altra ballata elettrica di grande spessore, dotata di un ritornello indovinato e tutta basata sul gioco voce-chitarra, sempre sostenuto dalla solida rhythm section. Bello il contrappunto centrale di chitarra che traccia la linea melodica. Too Cool To Be Forgotten è legata alle sue radici: c'è la nostalgia della terra natia ed il sapore delle cose di una volta.
Il riff richiama vecchie ballate rurali mentre la chitarra ricama un motivo molto piacevole: poi la canzone si apre e Lucinda lascia andare la voce su un ritornello dannatamente memorizzabile. Drunken Angel parla di un giovane cantautore texano vissuto pericolosamente e morto molto presto. È un country, bluesato ed elettrico, che richiama certe ballate dell'amico Townes. Strumentazione solida, voce sempre ben impostata, ed una canzone che entra di botto in circuito. Triste, ma non lamentosa, Drunken Angel è un ritratto amaro della vita di tutti i giorni. La parte centrale, con l'armonica in evidenza, ricorda decisamente certe composizioni dylaniane. Concrete and Barbed Wire: a mio parere il capolavoro del disco. Si tratta di una ballata elettro-acustica, un country sofferto dalle tonalità quasi folk.
La Williams si ispira alla tradizione e gioca su due voci richiamando più volte il titolo e dando un profondità inusitata ad un brano che, già di per sé stesso, è di una bellezza adamantina. C'è tutta la storia della canzone d'autore americana in questa composizione, Lucinda è stata capace di renderla in modo splendido: l'uso della fisarmonica contribuisce a dare ancora più spessore al brano. Lake Charles è una ballata nostalgica e che ci porta ai suoi ricordi di gioventù. Anche qui il tessuto sonoro si rifà alla tradizione e la ballata è degna dei grandi songwriter americani.
Lucinda racconta la storia di un ragazzo, nato a Nacogdoches, che tutti pensavano venisse da Lake Charles, che volle che le sue ceneri fossero sparse a Lake Charles, dove è morto. Profonda ed introspettiva, piena di pathos e grande musicalità: anche qui una soffice fisarmonica fa da tappeto alla particolare voce dell'autrice. Can't let Go è stata scritta da Randy Weeks dei Lonesome Strangers: «Ero solita suonare prima di loro, quando stavo a Los Angeles, ricorda Lucinda, così lui mi ha mandato questo canzone su nastro, mi è piaciuta e l'ho incisa». Si tratta di un country blues caustico e rigoroso. I Lost It è stata scritta quando l'autrice aveva venti anni. Buon brano, dalla struttura solida, con il country nelle pieghe più profonde della melodia ed un robusto accompagnamento a fare da cerniera sonora. Metal Firecracker è un altro brano dalla struttura elettrica, una ballata nostalgica che la voce di Lucinda rende di qualità superiore.
Greenville è una canzone sulla memoria, sulla vita, sui fatti che ci circondano e che ricorrono, nel bene e nel male. Melodia abbastanza soft, chitarre acustiche dietro la voce, una voce chiara ma distante, quasi stanca, direi pigra, come quella di Steve. Still I Long For Your Kiss l'abbiamo già conosciuta sulla colonna sonora di The Horse Whisperer: bella ballata elettrica, di impianto classico, con una notevole melodia ed un suono perfetto. Joy è atipica: sembra un country blues rurale, con accompagnamento elettrico ed un cantato sopra le righe, abbastanza diverso dal resto del lavoro. Non è la mia preferita, ma Lucinda mostra la sua bravura e la capacità di cambiare stile e modo di cantare.
Chiude il disco Jackson tersa ballata acustica che richiama ancora una volta la tradizione. Sembra uscita dal repertorio di composizioni che ha caratterizzato il periodo secessionista, tanto la sua melodia è legata al passato, a temi classici. Davvero bella. Come era lecito attendersi, dopo tanto pazientare, Lucinda Williams ci ha regalato il suo disco più bello e una delle opere che sicuramente ricorderemo a lungo nel corso di questo anno.