L'idea che
Alejandro Escovedo rappresenti musicalmente un artista sui generis non è stata semplicemente una frase felice scritta qualche tempo fa dal critico americano David Fricke, ma la costante che lo ha accompagnato lungo il cammino tortuoso di una carriera altalenante, ricca di soddisfazioni e segnata al tempo stesso da dolorose cadute.
L'ultima in ordine di tempo è proprio dell'aprile di quest'anno, quando Aiejandro è collassato al termine di uno show dal vivo a causa delle complicanze di una epatite che lo affligge ormai da anni. Ha giocato con la vita più del dovuto, ma la stima incondizionata dei colleghi e del pubblico ha avviato una campagna per raccogliere i fondi necessari a coprire la costose spese mediche.
La ristampa ampliata di
With These Hands, terzo lavoro solista originariamente licenziato dalla stessa Rykodisc nel '96, arriva in fondo a testimoniare le incompresioni sul suo talento, avvolto in quell'alone di sofferenza e tribolazioni infinite che sembrano circondare da sempre gli artisti più sensibili. È una operazione lodevole perché non solo riporta alla luce uno dei dischi più eclettici e riusciti della sua avventura solista, ma contribuisce a mantenere viva l'attenzione su un songwriter versatile e a suo modo geniale.
La migliore testimonianza insomma di come la sua visione trasversale delle radici della musica americana sia stata recepita nel tempo, atteggiamento intelligente che lo ha portato ad attraversare vent'anni di rock'n'roll passando dal punk giovanile con i Nuns al countryrock dei Rank & File, dal poderoso roots-rock dei True Believers al garage dei Buick MacKane, per approdare all'età adulta di
Gravity (il suo indimenticabile esordio solista),
Thirteen Years (il disco dell'introspezione e delle ballate con quartetto d'archi) e del qui presente
With These Hands.
Prodotto, come i due precedenti, dal valido chitarrista Stephen Bruton, il disco chiude una ideale trilogia, cercando di mediare le spinte a volte troppo intimiste di
Thirteen Years con il background più elettrico dell'autore. È anche il disco del passaggio dalla piccola Watermelon alla più importante Ryko: questo significa più mezzi e musicisti a disposizione ed un suono in generale più corposo, che pare far esplodere in tutte le direzioni il songwriting di Escovedo.
Con assoluta grazia si accostano l'un l'altro gli eccentrici arragiamenti di
Put You Down e Slip, che rispolverano il sound cameristico del passato combinando chitarre elettriche, violini, tastiere e clarinetti, con il rock'n'roll debordante di
Crooked Frame e Guilty, un bailame di bollenti riff alla Stones e crudezze punk. Escovedo è tutto questo nello stesso momento, senza contraddizione alcuna: uno squisito cesellatore di romantiche ballate (quelle che sgorgano da
Pissed Off 2AM e Tired Skin), un cantore appassionato della vita del border (il duetto con Willie Nelson nella splendida
Nickel And a Spoon, o la stessa
With These Hands, un roots-rock contaminato da percussioni latine che ricordano il primo Santana) e infine un appasionato rock'n'roll fan nella dedica finale di
Tugboat all'amico Sterling Morrison dei Velvet Underground.
Non bastasse riscoprire la bellezza di queste canzoni, per chi avesse già dimistichezza con la musica di Alejandro e anche per chi non lo conoscesse proprio, la ristampa presenta un secondo cd di tredici brani completamente inediti. Si inizia con una energica
Can't Take It, presa dalle session originali di
With These Hands con T-Bone Burnett alla chitarra, che profuma di Paisley Underground. Seguono quindi sette tracce live registrate nel 1996 al famoso festival South By Southwest di Austin: si tratta dello show elettrico di presentazione per l'uscita del disco e contiene alcune trascinanti versioni di
Crooked Frame, Put You Down e One More Time.
Infine chiudono altri quattro brani dal vivo, questa volta in versione acustica e con il supporto degli archi, per uno show radiofonico sempre dello stesso periodo.