ALEJANDRO ESCOVEDO (Bourbonitis Blues)
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  Recensione del  31/01/2004
    

Alejandro Escovedo è un musicista di indubbia esperienza. Ha dalla sua una carriera lunga e piena di soddisfazioni. E stato leader della punk band Nuns, poi ha fondato il gruppo country punk Rank & file, in seguito è approdato ai leggendari True Believers, per poi suonare, negli anni novanta, coi Buick MacKane, coi quali ha alternato la sua carriera come solista. Ha sperimentato sonorità rock, country, acide, punk fino a contaminare la sua musica con un ensemble cameristico.
Texano, di origine messicana, Escovedo rimane comunque una delle figure più interessanti e meno famose di questi ultimi anni. E anche vero che non tutti i suoi dischi sono stati pari alla sua fama, come, ad esempio, il suo ultimo lavoro, registrato dal vivo, ma abbastanza soporifero: More Miles Than Money. E dopo un disco di quella fattura c'era il bisogno di un ritorno al rock. Ed Alejandro non ci ha pensato due volte ed ha registrato, con la produzione attenta di Chris Stamey, un disco puntiglioso e vitale in cui interpreta alcuni brani scritti di suo pugno e qualche cover d'autore.
Un disco intenso, abbastanza breve (trentotto minuti), ma vivo e pulsante. Lo attorniano musicisti appartenenti al movimento insurgent country, come John Langford, Kelly Hogan, Melissa Swingle (dei Trailer Bride), lo stesso Stamey, quindi Glenn Fukunaga, Joe Eddy Hines, Hector Munoz e David Perales. L'album si apre con una ballata evocativa di grande presa. I Was Drunk potrebbe benissimo essere una canzone manifesto per la scena insurgent country, con quel suo cocktail di tradizione e moderno, ben sostenuta dal cello di Brian Standefer, e dalle voci dello stesso Escovedo e di David Perales.
Irene Wilde è una canzone poco nota di Ian Hunter: lo stile dell'ex Mott The Hoople si sente nel cantato iniziale, poi la ballata, sostenuta dal violino di Perales, si sviluppa secondo tematiche folk rock.
California Blues (un vecchio brano di Jimmie Rodgers) viene riletto da un cuore texano: versione ruspante, molto country oriented, suonata con grande partecipazione (un grazie sentito a Jon Langford dei Waco Bros) con il violino di Perales che improvvisa un assolo quasi bluegrass ed il tempo sempre molto sostenuto a dare vitalità al tutto. Guilty è un rock stradaiolo duro e graffiante, venato nel profondo di blues e cantato con voce accesa. Amsterdam (di John Cale) è una rilettura acustica piuttosto intima, con il violino in bella evidenza ed il cello a fare la controparte. Everybody Loves Me è un brano rock duro e tignoso, tutto giocato sulle chitarre di Alejandro e di Eddy Hines: qui ci sono le riminiscenze punk del nostro.
Splendida per contro è la cover di Pale Blue Eyes (un classico dei Velvet, scritto da Lou Reed) che Escovedo rilegge in modo raffinato e rarefatto: pochi strumenti, una batteria appena accennata, la doppia voce angelica di Kally Hogan. Sacramento & Folk è di nuovo rock: una chitarra dura ci aggredisce, la sezione ritmica picchia, poi entra la voce ed il brano è un urlo nella notte. Non particolarmente originale, ma di sicura presa. Chiude il disco Sex Beat, scritto dal non dimenticato Jeffrey Lee Pierce, leader dei Gun Club. Si tratta di una composizone molto moderna con uso particolare delle voci, ben contrastate da una batteria in levare e dagli archi, dove appare la voce di Melissa Swingle e le percussioni di Chris Phillips (Squirrel Nut Zippers). Forse non immediato, ma sicuramente interessante. Un buon ritorno per Mr Escovedo.