MARK McKAY (Nothing Personal)
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  Recensione del  26/02/2004
    

Originario di Chicago ma emigrato a Washington, DC, Mark McKay è un cantante-autore-chitarrista in cui ci eravamo già imbattuti quando recensimmo in maniera più che positiva due o tre anni orsono un disco intitolato Banjos and Sunshine, ad opera di una band di alternative country del Maryland, i Sixty Acres. Una delle cose che ci colpì di quell'album fu proprio lo stile chitarristico di McKay, asciutto, energico e ricco di feeling: ora, con Nothing personal (suo debutto solista), Mark dimostra di avere molte frecce al suo arco anche come songwriter.
In questi anni Mark ha suonato con gente del calibro di Rick Danko, Leon Russell, Slobberbone, Escovedo, e ciò non può che avergli fatto del bene dal punto di vista dell'esperienza, e perciò Nothing personal è un debut album coi fiocchi, pieno di belle canzoni, suonato benissimo e cantato con voce espressiva, che in alcuni passaggi ricorda quella di Michael Stipe dei R.E.M. Il suo stile non è inquadrabile in una sola parola: ha il senso delle radici di gruppi come i Jayhawks (quelli vecchi) o di solisti come Neil Young, talvolta la sua musica è epica come quella di uno Steve Earle, alcune volte profuma di Sud, altre è spruzzata di country, ma alla base di tutto c'è sicuramente la voglia e gli stimoli di fare buona musica, senza guardare in faccia a nessuno.
Tra i musicisti citiamo i nomi di Mike Castellana, Dimitri Fane, Ken Schopf, Ducky Carlisle e Matt Felch. Emblematica l'opening track One day, una ballata elettrica discretamente mossa, con una melodia Remmiana ed un'amalgama di suoni figlia di Neil Young (con tanto di distorsione finale). Lean on you abbandona le sonorità di Stipe & Co. per avventurarsi in territori più bluesati, di sapore sudista: bella l'apertura melodica nel ritornello; la lenta e gentile Morning in her eyes ha echi californiani, cosi come la crepuscolare Canyons, che ha ben presente la lezione di Gram Parsons (musicista sì di culto, ma fondamentale ispiratore per legioni di musicisti): il finale elettrico è particolarmente suggestivo.
Il disco fin qui è sì bello, ma tutto sommato nella norma, ma dal quinto brano Mark mette una marcia in più ed infila una serie di canzoni di tale spessore da far guadagnare al lavoro mezza stella buona: un finale in deciso crescendo. Ninety miles e, un pimpante brano di estrazione rock'n'roll; la splendida Chelsea Town parte come un lento d'atmosfera, poi si elettrifica e diventa una rock song classica di grande spessore; Born in the rain, per sola voce, chitarra ed armonica, è puro folk.
Come potete vedere un artista che non ha paura di cimentarsi con gli stili più disparati, e con esiti sempre apprezzabili. L'elettroacustica Consantine gardens è dotata di una melodia splendida e di un accompagnamento di prim'ordine; Old Oklahoma è un'incisiva roots ballad con riferimento alle sonorità anni 70: insieme al brano precedente un uno-due di sicuro effetto. La lunga e fluida Black and blue over you ha tonalità western e la solita performance vocale espressiva di Mark; Be steady chiude l'album in tono intimo, con una delicata folk ballad che mette in mostra lo spessore cantautorale di McKay. Indubbiamente un bel disco, da ascoltare e riascoltare senza remore: Mark McKay è un artista di sicuro talento che sa trasmettere le giuste vibrazioni.